VÉRA. MRS. VLADIMIR NABOKOV – STACY SCHIFF

Vera Stacy Schiff
Stacy SCHIFF, Véra. Mrs. Vladimir Nabokov, curato da L.Scarlini, p.557, Fandango Libri, Collana Mine Vaganti, ISBN-13: 9788887517170

Scrive Stacy Schiff nell’appendice di questa monumentale biografia che Brian Boyd, esperto dell’opera di Nabokov ed autore di una ancora più monumentale biografia di Vladimir (che non mi risulta essere stata mai pubblicata in italiano) l’aveva dapprima “assolutamente scoraggiata” e che poi l’ha “assistita generosamente nella ricerca”.

Per questo libro, reso possibile da una borsa di studio della Fondazione Guggenheim, Stacy Schiff ha ottenuto — secondo me molto meritatamente — il prestigioso Premio Pulitzer.

Scrivere la biografia di Véra ha significato per Schiff, di fatto, (ri)scrivere anche quella di Vladimir.

Ma ha significato soprattutto la necessità di utilizzare tutte le capacità e l’intuito investigativo che un buon biografo deve sapere mettere in atto.

Perchè parliamoci chiaro: Véra Nabokov, questa “donna senz’ombra” che per tutta la vita ha cercato di depistare biografi, giornalisti, perfino amici e parenti dal cercare di capire chi fosse mettendo in atto tutte le tecniche del mimetismo e del camuffamento, non rappresentava certo un oggetto (diciamo così) semplice, per un biografo.
Amatissima dal marito, amici e parenti non riuscivano  invece ad avere con lei un rapporto di sincero affetto pur ammirando le sue grandi capacità intellettuali. La si metta come si vuole, Véra non è certo una persona che si può  liquidare con un “…Era la moglie di…”. Anche se — sospetto — a lei questo sarebbe molto piaciuto.

Ma cerco di andare con ordine.

Vladimir Nabokov aveva ventiquattro anni quando incontrò a Berlino la donna che doveva diventare non soltanto sua moglie ma anche la sua assistente, il suo agente, la sua musa, la prima lettrice di tutti i suoi libri: Véra Evseïevna Slonim.

Come lui, Véra è nata in Russia. La sua è una ricca famiglia ebrea e Véra — come Vladimir — ha avuto un’infanzia felice e confortevole.

Poliglotta già da giovanissima, sin da bambina parla e scrive correntemente in particolare il francese e l’inglese. Minuta, occhi blu e capelli biondi, Véra è molto bella.

Dopo la Rivoluzione ha trovato rifugio a Berlino. E’ in questa città, ricca di fermenti culturali ma in cui regna il caos politico, che Vladimir e Véra si incontrano nel 1923. Il loro amore sopravviverà all’esilio e ad una intera vita trascorsa sotto il segno del nomadismo. La vita degli emigrati è durissima. Per sopravvivere Nabokov dà lezioni di lingue, di tennis e persino di pugilato.
Fuggiti dalla Germania nazista (Véra è un’ebrea, orgogliosa di esserlo e non fa nulla per nascondere le sue origini), si trasferiscono a Parigi. Nonostante la situazione politica generale e l’avanzata dei nazisti, la coppia (che nel frattempo ha avuto un figlio, Dmitri) e nonostante tutti i preoccupati appelli degli amici americani ed esuli russi che li invitano a lasciare l’Europa è restia a lasciarsi ancora una volta tutto alle spalle. I Nabokov si decidono finalmente soltanto nel 1940, quando si rendono conto che il precipitare degli eventi li mette davvero in serio pericolo. Riescono infine ed all’ultimo momento, superando mille difficoltà burocratiche, ad imbarcarsi per gli Stati Uniti dove si stabiliscono ma la ricerca di lavoro e la passione per le farfalle di Vladimir (che Véra condivide) li porta a frequenti trasferimenti in Stati diversi.

Fino a quando, dopo l’enorme successo di Lolita non decidono di tornare in Europa e, preso alloggio in un grande albergo di Montreux, in Svizzera, vi rimarranno sino alla morte di entrambi.

Véra era una donna affascinante. Il suo fascino, a detta di tutti quelli che l’hanno incontrata, rimase tale anche nella maturità, anche dopo che a soli trent’anni a causa delle fatiche, dello stress, del troppo lavoro, della vita piena di rischi i capelli le diventarono tutti bianchi.

Ma Véra non è soltanto bella, è una donna di cervello ed è la sua influenza invisibile piuttosto che la sua immagine che attraversa tutta l’opera di Nabokov. Certo non è facile essere la moglie di un uomo che si inventa il termine “ninfetta” quando lei ha 56 anni, che è un genio della letteratura ma che è privo di qualsiasi elementare senso pratico, che lascia a lei tutto ciò che riguarda i rapporti con gli agenti, gli editori, gli avvocati. Che delega a lei la maggior parte della sua corrispondenza non solo professionale ma anche quella personale (le iniziali con cui Véra firmava le lettere, V.N. ben si prestavano all’ambiguità dell’intepretazione circa il mittente…). Che le dà da rivedere le sue opere e anche le loro traduzioni. Che la vuole sempre accanto durante le sue lezioni di letteratura all’Università dove Véra non solo gli fa da preziosissima assistente ma addirittura prepara lei stessa alcune lezioni, tenendone molte al posto suo quando Vladimir è malato o troppo occupato con i suoi libri, correggendo al posto suo i compiti degli studenti. Pare che gran parte delle famose lezioni di letteratura russa tenute da Nabokov sia stata lei a prepararle. Ovviamente con l’approvazione del marito.

Presenza-assenza costante, assiste il marito in tutte le sue fisime e paranoie (e Vladimir ne ha tante, eh). Lo segue nell’amore per le farfalle scarrozzandolo in macchina da un capo all’altro degli States (lui si è sempre rifiutato di imparare a guidare) e cacciando farfalle assieme a lui. Molte delle pagine che raccontano il girovagare di Humbert Humbert e di Lolita rievocano questi vagabondaggi.

Vera Slonim
Primo viaggio attraverso l’America, estate 1941

Vladimir è molto fiero dell’abilità di Véra nel catturare e conservare gli esemplari.

Quando Nabokov, in piena crisi di scrittura, prende un bidone per la spazzatura, vi getta il dattiloscritto di Lolita e gli dà fuoco, è Véra che si precipita a salvarlo. Lei, convinta sostenitrice dell´impresa disperata di scrivere un romanzo così audace, di prevedibile difficile collocazione e di scarso successo commerciale. Nabokov confessò a un amico, sapendo di non esagerare: “Senza Véra non avrei mai scritto una riga”.

Vladimir e Vera Nabokov
Nel cortile della casa di Ithaca. Fu qui che Lolita rischiò di essere distrutto

Véra è un fenomeno straordinario dell’ “esserci” senza mai “apparire”. Uno spirito indipendente senza essere indipendente. Una donna che ha deciso di essere “il secondo violino di un uomo che di se stesso diceva: “Penso come un genio, scrivo come un autore eminente, parlo come un bambino”.

La biografia scritta da Stacy Schiff, ricca di documenti inediti, ci illumina sulla vita nascosta di Véra, permette di distinguere, individuare il suo ruolo nel lavoro del marito. Racconta la storia di una coppia dal destino davvero fuori dal comune. Non è una ninfetta quella che il “padre” di Lolita ha amato per tutta la vita, ma un’ affascinante signora dai capelli bianchi.

Un libro che ci permette anche di scoprire chi era questa donna allo stesso tempo severa, intransigente e discreta e che cosa è stata la sua vita durante cinquantaquattro anni vissuti all’ombra di un genio di cui è stata per più di mezzo secolo la compagna, la complice, la guardia del corpo e soprattutto l’alter ego.

Un libro che (si) pone alcune domande fondamentali come per esempio questa: “Perchè una donna dalla volontà forte e indipendente […] assecondava tutte le opinioni del marito?” (p.165)

Perchè questa cura quasi maniacale di esserci ma di non apparire mai?

Le risposte e le argomentazioni che fornisce la Schiff mi sono sembrate estremamente interessanti. Ne riassumo schematicamente qualcuna. I grassetti sono miei.

Véra intese il matrimonio come una professione. Elevò ad arte il ruolo di moglie (p.67)

Era una donna di grandi capacità, ma non aveva ambizioni (p.180).
Era una maestra del mimetismo e del camuffamento (p.269), una donna per interpretare la quale la parola chiave è “maschera” (p.282). Aveva un vero e proprio “culto della cancellazione”. Faceva impazzire i biografi. Conservò religiosamente tutte le lettere inviatele da Vladimir ma distrusse tutte quelle scritte da lei a lui. Anche il diario veniva scritto a quattro mani, e spesso, dice la Schiff, è difficile capire quali siano le parti scritte da Véra e quelle scritte da Vladimir.

Véra era, secondo la Schiff “una donna timida, con troppo lavoro, morbosamente legata alla sua privacy e di elevati principi” ma che, proprio per questo, poteva apparire “irritabile, musona, distante e intransigente.”

A lei non importava. Lasciava che “le versioni falsificate di Véra Nabokov si disponessero le une sopra le altre, mentre l’originale rimaneva ignoto. Sembrava si ritenesse capace di convincere chiunque che non aveva ombra o che, se c’era dietro di lei una forma nera angolare, questa senz’altro non le apparteneva. Lasciava perplesso il biografo” (p.417)

Sono rimasta colpita da moltissime cose, leggendo questa biografia. Ne accenno solo due.

L’epistolario “pas des deux”  e la questione della firma (o delle firme).

Era Vèra a tenere tutta la corrispondenza di Vladimir, l’interlocutore non sapeva mai chi davvero fosse l’autore della lettera che riceveva. Le iniziali uguali (V.N.) agevolavano molto, ma Véra perfezionò la tecnica del camuffamento: negli anni ’50 firmava ancora Véra Nabokov e scriveva a nome e per conto del marito. Poi cominciò a firmare ambiguamente V. Nabokov ed infine trovò la formula perfetta che conservò sino alla fine firmando “Mrs. Vladimir Nabokov”. Ma… colpo di scena: usò a volte anche un altro camuffamento firmando come “J. G. Smith”, un immaginario segretario della Cornell. Dice la Schiff: “Era questo signore che scriveva le lettere velenose di non raccomandazione per conto del professor Nabokov”.

Quando morì, il titolo del necrologio del New York Times diceva: “Véra Nabokov, morta a ottantanove anni, moglie, musa ed agente”.

Le sue ceneri furono unite a quelle del marito, e sulla pietra tombale oggi si legge

VLADIMIR NABOKOV
ECRIVAIN
VERA NABOKOV
Vera e Vladimir Nabokov
Gli scacchi, un’altra passione comune
 Stacy Schiff
Stacy Schiff
Foto di Sheva Fruitman

Stacy Schiff su Wikipedia >>

EL PURTAVA I SCARP DE TENNIS

Lester Young
Lester Young ("Prez"), le sue scarpe e il suo Pork Pie Hat

El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
el purtava i scarp de tennis, perche’ l’era un barbun,
el purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu
el purtava i scarp de tennis, perche’ l’era un barbun…

Così scriveva (e cantava — si può dire? Io non mi azzarderei, ma fate voi) Jannacci.

Mi è tornata in mente quella canzone di Jannacci pensando a Lester Young e guardando un prezioso video in cui "Prez", dolcissimo dandy/barbone (o barbone/dandy, perchè in realtà era entrambe le cose), suona segnando il tempo con i piedi calzati da scarpette da tennis. Ha posato a terra il suo famoso cappello a forma di pasticcio di maiale (il "Pork Pie Hat") ma poi mentre suona se lo rimette, poi se lo toglie, poi se lo rimette  di nuovo.

Lester Young

Con Lester Young ci sono Flip Philips, Harry Edison, Bill Harris, Hank Jones, Ray Brown, Buddy Rich (che si diverte come un matto).
…E poi alla session si unisce anche Ella Fitzgerald (smile).

Le immaginette le ho estratte dal video di YouTube. Ovvio che non sono un granchè. Ma rendono l’idea, I suppose. E comunque spero siano sempre meglio  di un pugno nello stomaco. Smile. 

MY FAVOURITE THINGS – JOHN COLTRANE

John Coltrane

Sissi, lo so che ci sono YXZW al quadrato incisioni di My Favourite Things di Trane.

Anzi, già che ci siamo, ringraziatemi che vi risparmio quella versione di My Favourite Things che il Nostro suonò con Pharoah Sanders in Giappone, che quello che è troppo è troppo, perbacco. E quella versione è veramente troppo (un’ora e passa. Giuro).  Versione splendidisima,  un  incontro/scontro  di due sassofoni   (e di due sassofonisti matti da legare tutti e due)  che si parlavano, si incrociavano, si evitavano, si incazzavano, si scontravano   per più di un’ora.

Io ce l’ho e ogni tanto me la sento, quella versione, ma certo non è roba per tutti i giorni.

E mi rendo conto:  posso mica pretendere che tutti gli stomaci siano robusti quanto il mio che quando si tratta di Trane mi digerisco (quasi) tutto fin agli Interstellar Space. Oltre quello non vado. Ho anch’io i miei limiti.

….Però questa versione di My Favourite Things che propongo ai tre lettori di questo blog è una delle più belle (a mio modesto avviso) delle interpretazioni "traniane". 1961. Baden Germania.

Certo, sarei tentata di raccontare a che punto stava Trane in quel momento della sua carriera, e come stava   messo con Miles,  e insomma come si arrabattava in quel periodo  etc. etc. ma poi  voi mi tirate le scarpe in testa perciò evito, che ci tengo, alla pelle. Smile.

Qui stiamo in duet con Eric Dolphy, ragazzi.  E poi c’è McCoyTyner  al piano  e c’è pure Elvin Jones  alla batteria … Insomma una chicca.  Evviva YouTube e chi lo usa  per queste cose!

John Coltrane – soprano sax, tenor sax
Eric Dolphy – flauto, alto sax
McCoy Tyner – piano
Reggie Workman – bass
Elvin Jones – drums

Cioè, voglio dire. McCoyTyner al piano ed Elvin Jones alla batteria, eh. Si lo so mi sto ripetendo. E’ l’entusiasmo.

Qui da noi in Terronia di fronte a cose così diciamo: "e viri chi manci!"

No, non traduco. Smile.

SON SODDISFAZIONI

Véra Nabokov
Véra Nabokov

Ho finito da qualche giorno di leggere la biografia di Véra Nabokov scritta da Stacy Schiff.
Ne parlerò.

Però intanto voglio dire che sono stata molto, molto contenta di apprendere che, sul conto di Lolita ed Humbert Humbert, Mrs. Vladimir Nabokov la pensava esattamente come me.

Son soddisfazioni.

Nel suo Diario, Véra Nabokov scrisse:

“Lolita viene discussa sui giornali da ogni possibile punto di vista […]
Eppure vorrei che qualcuno si accorgesse della tenera descrizione della bambina indifesa, la sua patetica dipendenza dal mostruoso HH e il coraggio straziante che dimostra nel corso del libro, che culmina in un matrimonio misero, ma essenzialmente puro e sano, nella lettera che invia e nell’amore per il suo cane. E quell’espressione terribile sul suo volto quando è stata defraudata di un piccolo piacere che lui le aveva promesso. Perdono tutti di vista il fatto che “quella orribile piccola mocciosa” Lolita in fondo è buona o non si sarebbe rimessa sulla retta via dopo essere stata maltrattata in modo così terribile e non avrebbe trovato una vita decente con il povero Dick, più consona a lei di quella vissuta in precedenza”

(Stacy Schiff, Véra. Mrs Vladimir Nabokov)

IL TAMBURO DI LATTA

Il tamburo di latta
Il tamburo di latta. Disegno di Gunther Grass

"Finalmente ce l’ho, il tamburo! Mi pende davanti, nuovo fiammante, dipinto con una serie di triangoli bianchi inseriti nei rossi. Tutto compreso della mia importanza, serio e deciso in volto, tengo incrociate le mazze di legno sulla latta.
[…]
Allora dissi, allora decisi, allora risolsi di non diventare in alcun caso un uomo politico e tanto meno un negoziante di generi coloniali, ma di far punto e basta, di rimanere così, con questo equipaggiamento, per molti anni.

[…] mi attenni al tamburo, e dal mio terzo compleanno in poi non crebbi di un dito, rimasi il bambino di tre anni, ma anche il tre volte furbo, che tutti gli adulti sorpassavano in altezza, ma che a tutti gli adulti doveva essere tanto superiore, che non avrebbe voluto misurare neanche la propria ombra con la loro, che di mente e di corpo era ormai un uomo fatto, mentre quelli ancora da vegliardi dovevano preoccuparsi del loro sviluppo, che non faceva altro che farsi confermare quello che essi a fatica e spesso dolorosamente dovevano sperimentare, che di anno in anno non aveva bisogno di scarpe e di calzoni più grandi per dimostrare che qualcosa in lui cresceva."
(Günther Grass, Il tamburo di latta)

Il tamburo di latta
David Bennent (Oskar Matzerath) ne Il tamburo di latta di Volker Schlöndorff
Oscar 1980 per il miglior film straniero
Il tamburo di latta
Günther Grass, David Bennent e Volker Schlöndorff sul set del film

Riletto il romanzo in questi giorni dopo circa vent’anni, le vicende del piccolo grande Oskar Matzerath che con il rullare del suo tamburo  accompagna la travagliata storia della Germania hitleriana mi hanno catturata quanto e forse più che ai tempi della prima lettura.
Il film di Schlöndorff invece non l’avevo mai visto. Ho rimediato ieri con gran soddisfazione. Davvero straordinario l’allora dodicenne David Bennent nel difficile ruolo di Oskar.

ANCORA SU ‘ROUND MIDNIGHT

Thelonious Monk
Thelonious Monk

Nel post sul film ‘Round Midnight di Bertrand Tavernier dicevo che il titolo è quello di un brano musicale celeberrimo, uno degli standard più belli di tutto il jazz moderno, scritto da Thelonious Monk. E allora (mi sono detta) perchè non ascoltarlo, Monk con la sua creatura? 
Di performance di Monk ce ne sono decine, questo è ovvio.
Tra quelle disponibili in video ho scelto questa in cui suona con Charlie Rouse (sax tenore), Larry Gales (basso) e Ben Ridley (batteria)

Nel film di Tavernier, il personaggio di Dale Turner interpretato da Dexter Gordon evoca il pianista Bud Powell.
E  se    qualcuno venisse  colto  dalla curiosità  di sentire  (ci credo  poco, ma mai dire mai, diceva James Bond) come interpretava lui, Bud Powell, ‘Round Midnight?

Qui possiamo ascoltare Bud Powell  in trio con Elniff Niels-Henning ed Orsted Pedersen.

‘Round Midnight è stata interpretata (e continua ad esserlo) da tutti i più grandi jazzisti. Ho scelto, tra le tantissime presenti su YouTube, quelle secondo me più interessanti, in cui ‘Round Midnight  è affidata alla voce di una grande jazz -vocalist come Ella Fitzgerald, alla chitarra di Wes Montgomery , al piano di Oscar Peterson, a Keith Jarrett (piano solo), al piano di Chick Corea e la sua Akoustic Band.

Ne esistono infinite altre interpretazioni: Jerry Mulligan, Wynton e Brandford Marsalis, davvero impossibile elencarle tutte.

Una delle mie preferite è quella del Miles Davis Quintet nello splendido concerto di Stoccolma del 1967.

Con Miles Davis ci sono Wayne Shorter (sax tenore), Tony Williams (batteria), Herbie Hancock (piano) e Ron Carter (basso).

Sono i musicisti che poi affiancheranno Dexter Gordon nel film di Tavernier del 1986. Tutti musicisti "scoperti" e valorizzati da Miles Davis che li chiamò a far parte di quello che nella storia del jazz è ormai noto come "il secondo quintetto" di Miles in cui Wayne Shorter subentrò a John Coltrane, Herbie Hancock a Red Garland, Ron Carter a Paul Chambers e il giovanissimo Tony Williams (qui ha appena ventidue anni) a Philly Joe Jones.

Tornando a ‘Round Midnight: poichè il brano viene interpretato anche dalle vocalist voglio inserire qui anche le parole, che sono queste:

It begins to tell,/round midnight, midnight./I do pretty well till after sundown. / Suppertime, I’m feeling sad; /but it really gets bad, / round midnight.
Memories always start round midnight. /Haven’t got the heart /to stand those memories,/ when my heart is still with you, / and old midnight knows it, too.
When a quarrel we had needs mending,/does it mean that our love is ending? / Darling, I need you, lately I find/ you’re out of my heart,/and I’m out of my mind.
Let our hearts take wings / round midnight, midnight. / Let the angels sing,/for your returning, /till our love is safe and sound /and old midnight/comes around.
Feeling sad,/really gets bad /round midnight…

ROUND MIDNIGHT – BERTRAND TAVERNIER (1986)

Dexter Gordon
Dale Turner (Dexter Gordon) e Francis Borier (François Cluzet)

Lo schermo è nero. I titoli di testa partono sulle note di ‘Round Midnight (A mezzanotte circa) che dà il titolo al film. E’ un brano musicale celeberrimo, uno degli standard più belli di tutto il jazz moderno, scritto da un immenso pianista, Thelonious Monk. La mezzanotte circa è quell’ora magica, che ogni appassionato di jazz conosce, attorno alla quale in un jazz club notturno si celebra il rito di una musica particolare. 

Siamo a New York, nel 1959. La prima inquadratura del film dopo i titoli di testa ci fa vedere, ripreso di spalle, il grande sax tenore Dale Turner (Dexter Gordon) che decide di tornare a Parigi dopo quindici anni di assenza. Alcoolizzato e stanco, Turner vive per la musica: “sono stanco di tutto, tranne della musica” dirà più volte nel film.

Dexter Gordon

Difficile non vedere in questa inquadratura di Dale ripreso di spalle davanti ad una finestra aperta una citazione di quel quadro di Magritte.

A Parigi Dale Turner, uno dei grandi del be-bop, delizia i suoi fans con il suo meraviglioso modo di suonare.

Dexter Gordon
Tavernier Round Midnight

Perfettamente consapevole del valore artistico di Turner è il giovane pubblicitario Francis Borier (François Cluzet). Francis colleziona tutti i dischi incisi da Turner fin da quando aveva tredici anni. Squattrinato, non può permettersi di entrare al Blue Note, il locale dove suona Dale. Perciò la sera va ad ascoltare la sua musica stando rannicchiato sul marciapiede del Blue Note incurante della pioggia cercando di captare da una finestrella ogni nota che proviene dallo scantinato.

Una sera finalmente Francis trova il coraggio di presentarsi a Turner.
Dale è un gigante buono. Però è anche un ubriacone. Quando Francis, su richiesta, gli offre una birra ha inizio una straordinaria amicizia e un bellissimo anche se complicato rapporto con quest’uomo semplice che vive esclusivamente di musica e per la musica.

Francois Cluzet

Francis è divorziato e vive con la sua bambina Bérangère (Gabrielle Haker). Accoglie il sassofonista in casa sua, lo assiste, lo aiuta sempre e pazientemente; cerca per quanto possibile di tenerlo lontano dall’alcool anche se di tanto in tanto gli consente una moderata bevuta di “vin rouge”; lo recupera nei bar più infimi, nei commissariati e negli ospedali. Diventato suo amico, assistente e protettore, riesce anche a farlo lavorare con impegno e persino a fargli incidere dei dischi.

Bertrand Tavernier
Bertrand Tavernier

Dale Turner passa a Parigi un bellissimo periodo al tramonto della sua vita, ritrovando tutta la forza e la freschezza del suo talento creativo, suonando il sassofono e affascinando appassionati vecchi e nuovi, vivendo in pace con il giovane francese e la sua piccola, incidendo dischi. Riesce perfino a smettere di bere.

Dexter Gordon

Finchè un giorno l’America lo richiama: gli viene proposta una scrittura al mitico, leggendario Birdland (quale appassionato di jazz non sussulta a questo nome?). Dale Turner torna a casa e Francis va con lui a New York.

Dexter Gordon

Ma l’America è dura, il vecchio misero alberghetto di un tempo che accoglie l’artista è popolato di spacciatori. Goodley, il suo agente (interpretato da Martin Scorsese) è efficiente, cinico e sbrigativo. Si capisce che per lui Dale Turner non è che un limone da spremere.

Dexter Gordon Martin Scorsese
Dale Turner (Dexter Gordon) e Goodley (Martin Scorsese),

Il Birdland non è più quello dei tempi di Gillespie e Charlie Parker, l’ambiente è diventato asettico; Dale Turner si rende conto che la magia di certe stagioni è irripetibile.
Francis avverte subito il pericolo. Capisce che se Turner rimane in quello squallido ambiente ripiomberà nell’alcoolismo e forse peggio; insiste per tornare a Parigi con l’amico. Ha già in tasca i biglietti dell’aereo: “Non sei stato felice, a Parigi?” gli chiede. Ma Dale, dopo un minuto di silenzio, “E’ una città carina” risponde.

Dexter Gordon

Dale promette comunque di partire, ma le sue radici sono a New York e là rimane. L’indomani, Francis tornerà in Europa da solo.

Una sera, un telegramma annuncia a Francis che il suo gigantesco, straordinario amico è morto. Non gli resta che visionare, assieme alla figlia Bérangère, i piccoli film a 8 mm. con cui ha ripreso ed eternato quel grande artista e riascoltare sui dischi quel suono immacolato ed intenso, ormai entrato nel mito, che lo aveva incantato fin dall’infanzia.

Francois Cluzet
Dexter Gordon

Dallo schermo in bianco e nero, Dale Turner dice a Francis “Io spero che vivremo abbastanza da vedere un viale intitolato “Charlie Parker”, un parco “Lester Young”, una piazza “Duke Ellington”

Nella didascalia dei titoli di coda leggiamo che “Il film è dedicato con rispetto a Bud Powell e Lester Young”, due grandi musicisti jazz, il pianista Bud Powell e il tenor–sassofonista Lester Young.

Di Bud Powell il film ricostruisce il rapporto col grafico Francis Paudras basandosi sulla cronaca che questi scrisse sul soggiorno del  pianista  a Parigi negli anni cinquanta. Di Lester Young ritroviamo nel personaggio di Dale Turner lo strumento (il sax), il cappello e i tic, come l’appellativo di lady che egli indifferentemente dà al proprio sax o agli amici. In Dale Turner non ci sono però solo Bud Powell e Lester Young ma anche Charlie Parker, Chet Baker e decine di altri.

Ma voglio parlare del protagonista di questo film. Perchè Round Midnight è magnificamente interpretato da un vero musicista, uno dei migliori sassofonisti del dopoguerra, Dexter Gordon, che ci regala un ritratto ricchissimo di sfumature, crepuscolare, umanissimo.

Nel personaggio di Dale Turner, oltre a Bud Powell, Lester Young e Charlie Parker c’è molto dello stesso Dexter Gordon. Chi conosce questo splendido sassofonista che non a caso veniva chiamato The Sophisticated Giant, stupenda e fondamentale figura del jazz, ricco di ispirazione, genio e stile, dal sound originale in un periodo in cui tutti cercavano di suonare “alla Charlie Parker” sa anche dei suoi eccessi e delle sue sregolatezze.
Assieme a Lester Young, Coleman Hawkins, Sonny Rollins è uno dei miei sassofonisti preferiti. Meno rivoluzionario di Parker o di Coltrane, seguì un filone tutto suo ed influenzò a sua volta il modo di suonare di tanti altri tenorsassofonisti. Ho tutti i suoi album, ed il mio preferito è Our man in Paris.
Anche Dexter Gordon venne a Parigi e ci rimase per ben quindici anni. Proprio a Parigi, negli anni ’60 realizzò album eccezionali, tutti per la Blue Note (“Doin’ Allright”, “Dexter Calling”, il celeberrimo “Go”, “A Swingin’ Affair”, “One Flight Up”, “Gettin’ Around” e, appunto, “Our Man In Paris”)

Anche lui, come tanti altri cadde nella spirale dell’alcool e della droga.

‘Round Midnight è un grande film di jazz perchè qui il jazz non è un fatto episodico, la musica non è un sottofondo o un abbellimento. Tavernier riesce in tutto questo perchè utilizza veri jazzmen e trasformandoli in attori li accosta agli altri, ai comuni mortali, i fans.

Da un lato ci sono quindi Dexter Gordon, i vari Herbie Hancock, Billy Higgins, Wayne Shorter, Bobby Hutcherson, Ron Carter e tanti altri. Dall’altra i loro adoratori. Che conoscono a memoria le parole delle canzoni americane e collezionano i dischi dei loro idoli. Sono due mondi molto vicini ma molto distanti.

Francis è perfettamente al corrente di tutta la produzione jazzistica degli ultimi dieci anni. Dale non riconosce la voce del proprio sax nell’ultimo disco da lui inciso, ma indica Debussy tra i suoi musicisti preferiti e paragona un quadro di Monet alla musica di Debussy, Ravel e Charlie Parker.

Il linguaggio musicale è l’unico nel quale Dale Turner riesce ad esprimersi pienamente. La sequenza in cui Francis trova Dale Turner- Dexter Gordon seduto fuori dal Blue Note, in un vicolo umido pieno di spazzatura, solo con il suo strumento (la sweet lady), è di quelle che difficilmente si dimenticano.

Dexter Gordon

Riesce a parlare d’amore solo attraverso la musica. Compone e suona un brano (Chan’s Song) che dedica alla figlia Chan e quando le chiede se la canzone le è piaciuta e lei dice “Splendida. Ci sono le parole?” lui risponde “No. Ma non tutto ha bisogno di parole”. Ma forse questo non è sempre vero, ed infatti poco dopo confesserà a Francis che Chan è diventata “un’estranea, ed è troppo tardi per rimediare”.

Dexter Gordon

E quando la cantante Darcey (l’allusione a Billie Holiday, che con Lester Young fu legata per anni da grande amicizia e con il quale suonò ed incise dischi indimenticabili è evidente) chiede a Dale se non abbia rimpianti, si sente rispondere: “Non ho mai suonato con Count Basie”.

Dexter Gordon
Dale Turner (Dexter Gordon) e Lonette McKee (Darcey Leigh)

‘Round Midnight è un film di interni, di camere d’albergo (“sono tutte uguali” dice Dale), di innumerevoli corridoi, di caves, di bistrots. La Parigi che sta attorno al Blue Note è onirica e straniante. Nel film ci sono pochissimi esterni: un lungosenna e una spiaggia oceanica; New York e Lyon sono connotate solo da due ponti.

Un film sul jazz che è anche una riflessione sulla musica in sé stessa, sul mistero della creazione artistica.

E, certo, Round Midnight è anche una rilettura attraverso occhi europei di quella diaspora che negli anni ’50 portò in Europa e soprattutto a Parigi tanti musicisti be bop. E’ un film dolcissimo e severo. Dolcissimo perchè è un atto d’amore per il jazz e i suoi suonatori, di cui si racconta l’ansia esistenziale e musicale, severo perchè nulla concede agli stereotipi ed al melodramma ed un particolare, affettuoso significato ha anche la brevissima partecipazione-testimonianza del regista grande appassionato di jazz Martin Scorsese nel ruolo di Goodley.

La lista dei musicisti che compaiono nel film e che suonano con Dale Turner/Dexter Gordon nelle sue esibizioni nei diversi locali è piena di nomi strepitosi: Herbie Hancock, John McLaughlin, Wayne Shorter, Ron Carter, Tony Williams, Freddie Hubbard… Nomi che hanno fatto la storia del jazz.
La musica del film è composta, arrangiata e diretta da Herbie Hancock che ha vinto l’Oscar per la migliore colonna sonora. In lizza per l’Oscar come migliore attore protagonista Dexter Gordon.

Dexter Gordon
Dexter Gordon, Wayne Shorter, Ron Carter

Round Midnight, Regia Bertrand Tavernier, Soggetto e sceneggiatura David Rayfield e Bertrand Tavernier da episodi della vita di Francis Paudras e Bud Powell, Fotografia Bruno De Keyzer, Montaggio Armand Psenny, Costumi Jacqueline Moreau

Musica composta, arrangiata e diretta da Herbie Hancock; «’Round Midnight» (Th. Monk, Cootie Williams, Bernie Hanighen); «As Time Goes By» (Herman Hubfeld); «Society Red» (Dexter Gordon); «Fairweather» (Kenny Dorham); «Now’s The Time» (Ch. Parker); «Una Noche Con Francis» (Bud Powell); «Autumn in New York» (Vernon Duke); «Minuit aux Champs-Elysées» (Henri Renaud); «Body And Soul» (Edward Heyman, Robert Sour, Frank Eyton, Johnny Green); «Watermelon» (Herbie Hancock); «The Peacocks» (Johnny Rowles); «It’s only a Papermoon» (Billy Rose, E.Y. Harburg, Harold Arlem); «Tivoli» (Dexter Gordon); «How Long Has This Been Going On» (I. e G. Gershwin); «Put It Right Here» (Bessie Smith); «Rythm-A-Ning» (Th. Monk); «I Love Paris» (Cole Porter); «I Love The Party» (Herbie Hancock); «What Is This Thing Called Love» (Cole Porter); «Chan’s Song» (Herbie Hancock, Stevie Wonder); suono: Michel Desrois, William Flageollet

Principali interpreti e personaggi: Dexter Gordon (Dale Turner), François Cluzet (Francis Borier), Gabrielle Haker (Bérangère), Sandra Reaves-Phillips (Buttercup), Lonette McKee (Darcey Leigh), Christine Pascal (Sylvie), Herbie Hancock (Eddie Wayne), Bobby Hutcherson (Ace), Martin Scorsese (Goodley).

Musicisti al Blue Note: Billy Higgins (batteria), Palle Mikkelborg (tromba), Wayne Shorter (sax soprano), Mads Vinding (basso), John Mc Laughlin (chitarra); a Lyon: Cheikh Fall (percussioni), Michel Perez (chitarra), Wayne Shorter (sax soprano), Mads Vinding (basso), Tony Williams (batteria); a New York: Ron Carter (basso), Freddie Hubbard (tromba), Cedar Walton (piano), Tony Williams (batteria)

Origine: Usa-Francia, Anno: 1986 Durata: 131′

Dexter Gordon

Scheda tecnica

LA MOSCHEA DI PARIGI

Questo breve video l’ho realizzato a Parigi, nel 5° arrondissement dove, al 2 bis della Place du Puits de l’Ermite (Google Maps >>), dietro il Jardin des Plantes,a poche centinaia di metri dall’ Institut du Monde Arabe e dalle brulicanti e “pariginissime” (si può dire?) Rue Mouffetard e Rue Monge c’è un posto speciale e molto tranquillo: la grande Moschea di Parigi.  

Ai lati della porta d’ingresso della Moschea si leggono, incise sulla pietra, queste parole: “Siate i benvenuti, o fedeli. Entrate per ammirare quello che non vi sarà permesso di vedere altrove”.

La Moschea venne costruita intorno al 1920 per celebrare i 100 000 mussulmani caduti durante la guerra del 1915/18. La città di Parigi offrì il terreno dell’antico Ospedale della Pietà (75.000 mq). Gli architetti furono Robert Fournez e Maurice Mantout, ma furono artigiani marocchini, algerini e tunisini a realizzare i rivestimenti in marmo, in maioliche policrome, gli stucchi, le fontane di porfido e le porte di cedro.

L’ingresso della Moschea è marcato da una grande porta ornata da motivi floreali stilizzati. Superato l’ingresso, ci si trova in un cortile circondato da un colonnato e, in fondo, si arriva alla sala di preghiera. Ho trovato persone gentilissime e disponibili. La sala della preghiera è aperta e si può sbirciar dentro, ma ovviamente non è permessa l’entrata ai non islamici.

Dietro la Moschea, con ingresso in Rue Geoffroy Saint-Hilaire c’è invece l’ingresso ad una vera e propria oasi di pace: ci si trova infatti l’ Hamman, il bagno turco per non parlare della deliziosa sala da the e ristorante arredati in perfetto stile arabo (mi sembrava di essere in un locale di Algeri ma anche in alcuni posti qui a Palermo), con gli uccellini che svolazzano tra i tavolini ed in cui invece del rumore del traffico si sente solo il rumore dell’acqua delle fontanelle.

Qui si possono gustare vari tipi di cous cous e di tajine ma ci si può anche solo sedere ad assaggiare la pasticceria orientale accompagnata da tè alla menta, acqua o succo d’arancia (niente alcolici, perchè è una moschea!!).

Come spesso mi capita quando all’estero visito luoghi che hanno in qualche modo a che fare con la cultura araba non posso fare a meno di sentirmi un po’ a casa.

Nell’atrio della Moschea, per esempio, ed in particolare nelle decorazioni delle vasche e delle fontane ho ritrovato esattamente gli stessi materiali, gli stessi motivi ornamentali che qui a Palermo posso vedere ogni giorno a poche centinaia di metri da casa mia, nei giardini arabi del Castello della Zisa (qui un mio video)