
Stefan ZWEIG, Lettera di una sconosciuta (Tit. orig. Brief einer Unbekannten), traduz. Ada Vigliani, p.88, Adelphi, Piccola Biblioteca Adelphi, 2009, ISBN 9788845924460
Un libriccino (solo 88 pagine, lo si può leggere in un’ora) che mi ha dato molto da pensare.
Cerco di andare con ordine.
Il famoso romanziere R, tornato a Vienna dopo “una ritemprante vacanza “, si rende conto che è il giorno del suo quarantunesimo compleanno.
Arrivato a casa, la sera gli viene consegnata una strana busta che non presenta informazione alcuna circa il mittente. La apre con noncuranza.
La lettera è di circa venti pagine. Non è firmata. In alto, a destra, poste come intestazione e apostrofe, solo le parole
“A te, che mai mi hai conosciuta”.
Una donna gli dice che il proprio bambino è appena morto, e che lei sta scrivendo accanto al corpicino esanime del figlio.
L’attenzione dell’uomo è catturata. Egli si immerge totalmente in una lettura che lo occuperà fino all’alba.
La frase “Ieri il mio bambino è morto” — l’incipit della lettera — tornerà spesso e la donna scrive chiaramente che, se lui sta adesso leggendo questi fogli, significa che anche lei è morta.
La lettera — una lunga lettera d’amore scritta di getto, appassionata e pervasa da una immensa tristezza — gli racconta la storia della vita della donna ma rivela anche, allo scrittore, uno spaccato di esistenza di cui egli non era consapevole.
La storia narrata è quella di una ragazzina di tredici anni che si innamora follemente di un uomo — uno scrittore famoso — prima ancora di averlo visto e incontrato (“Ancora prima che tu fossi entrato nella mia vita, eri già avvolto in un nimbo”)
Quando finalmente lo incontra per le scale, dopo giorni di appostamenti, la sua vita viene segnata per sempre: “…è forse necessario dirti che da quel giorno […] nient’altro più mi interessò all’infuori di te […]?”.
La ragazzina inizia allora tutta un serie di appostamenti, spia il giovane scrittore, lo segue, l’ama follemente ma in segreto; si accorge che a lui piace uscire la sera e sedurre donne eleganti e piene di fascino, ne comprende il carattere duplice ed allo stesso tempo lo mitizza: “tu sei per così dire bifronte, sei un giovanotto ardente e spensierato, tutto dedito al gioco e all’avventura, ma anche, nell’esercizio della tua arte, un uomo colto, di sterminate letture, ligio al dovere e di una serietà inflessibile”.
Gli anni passano, la ragazzina diventa una giovane donna, i due abitano ormai in posti diversi ma tutta l’esistenza della donna, le sue scelte, le sue decisioni sono prese esclusivamente in funzione del suo ossessivo desiderio di incontrare di nuovo l’oggetto del suo amore, di essere da lui conosciuta e ri-conosciuta.
Finchè, finalmente, il suo sogno si avvera.
I due passano una notte insieme, e poi un’altra, anni dopo, senza che lui si ricordi mai nè riconosca che si trova davanti la ragazzina di un tempo nè la giovane donna di qualche anno prima. Non si ricorda di lei.
Per lui non si tratta, di volta in volta, che di episodi piacevoli ma che non hanno alcun peso, senza storia nè memoria; per lei si tratta dell’amore della vita.
Questa lunga lettera gli rivela un passato di cui non era consapevole e che adesso, sotto lo sguardo appassionato di un essere che ha ignorato, si sforza in ogni modo di ricordare.
Nel libro si narra dunque di un amore totale, passionale, che si proclama disinteressato; l’amore nascosto nell’ombra di una donna che dichiara di non chiedere niente in cambio se non di poterlo finalmente confessare, questo suo grande amore.
Racconta di una ferita viva, aperta, in cui la morte del bambino rappresenta il tragico simbolo di un amore che il tempo non ha indebolito nè intaccato.
Una dichiarazione d’amore fanatica, febbrile, tenera e folle, la lettera-testamento di una donna morente divorata da una passione assoluta, da un vero e proprio amour fou.
Questo racconto lungo (o romanzo breve) pubblicato da Zweig nel 1922, ebbe un successo straordinario e contribuì in maniera decisiva alla popolarità dello scrittore austriaco non solo nel suo Paese ma presso un pubblico internazionale.
Lettera di una sconosciuta viene spesso definito “romanzo epistolare”.
Impropriamente, perchè quello che leggiamo (e che lo scrittore R. legge assieme a noi) è in realtà un lungo monologo cui la morte di colei che scrive vieta irrimediabilmente qualunque possibilità di scambio e di interlocuzione.
“A te solo voglio parlare, per la prima volta ti dirò tutto: dovrai conoscere tutta la mia vita, che è sempre stata la tua e di cui tu non hai mai saputo nulla. Ma conoscerai il mio segreto solo quando io sarò morta e tu non dovrai più darmi risposte”
La scrittura di Zweig è, come sempre, magnifica: una scrittura lirica, spesso elegiaca; immaginifica, espressiva, persino sontuosa, con la sua ricchezza di aggettivi, di proposizioni, di avverbi.
Dal punto di vista della scrittura non ho dubbi: siamo proprio davanti al migliore Zweig.
Discorso molto più complesso e anche più interessante riguarda invece la storia narrata, il tipo di messaggio veicolato, il sistema (e la scala) di valori che risulta rappresentato dal racconto, l’immagine di donna che ne viene fuori e, finalmente, l’idea di amore che la sconosciuta incarna, rappresenta ed esalta.
Rileggendo questo testo (ma sarebbe più onesto da parte mia dire “leggere”, perchè troppi anni sono passati dalla mia prima lettura) ho avuto decisamente enormi difficoltà a identificarmi con questa donna che scrive di essersi votata all’amato “con tutta l’abnegazione di una schiava, di un cane”.
Nonostante il mio grande amore per Zweig devo purtroppo ammettere che questa volta il libro, se lo considero esclusivamente centrando l’attenzione sulla storia d’amore, mi irrita, decisamente.
Può chiamarsi “amore”, questo della Sconosciuta?! E se di amore dobbiamo parlare, di che caspita di amore si tratta?!
Più che amore, ai miei occhi questo è annullamento del sè, autodistruzione, delirio e mitomania, ossessione, monomaniacalità.
Zweig è bravissimo, perchè per rendere quella che è una vera e propria adorazione della sconosciuta per lo scrittore, quando la donna parla del suo amato utilizza spesso il registro della lingua di preghiera.
Altro che piedistallo! Quest’uomo è veramente Dio!
Non ho avvertito alcuna empatia con la Sconosciuta, alcuna simpatia con questa donna che ha fatto tutto da sola: il suo amore è una partenogenesi.
Poi però ho cercato di esplorare più in profondità questo testo di Zweig, di non farmi condizionare fermandomi alla superficie romantica della storia d’amore (unilaterale) della Sconosciuta, ed allora m’è sembrato di cogliere cose davvero molto interessanti.
Una tremenda esemplificazione del fenomeno della “cristallizzazione“ così ben descritto da Stendhal in De l’amour, per esempio.
Quando la cristallizzazione si compie, un innamorato/a non vede più l’Altro/a in una luce reale. Sminuisce le proprie qualità ed esalta ogni minima attrattiva della persona che ama, l’amore diventa una questione di fantasia e di proiezioni fantasmatiche. La Sconosciuta di Zweig costruisce (e distrugge) la propria vita non investendo nella persona reale dello scrittore ma nell’immagine di lui che si è costruita nella mente.
Ma con la cristallizzazione non siamo ancora che sulla cima dell’iceberg.
Il tema (anche questo ricorrente in modo ossessivo) che mi è sembrato davvero centrale e che alla fine ha reso i miei occhi notevole questo libro è quello del “conoscer-si”, “ri-conoscer-si”.
Questa centralità la colgo a cominciare dal titolo (Lettera di una sconosciuta), nell’intestazione (“A te, che mai mi hai conosciuta”), al fatto che nessuno dei personaggi ha un nome (unicamente lo scrittore viene identificato, all’inizio, ma solo con una iniziale: lo scrittore R.”).
E poi il continuo ricorrere, in tutta la lettera, di frasi come “Mai, mai mi hai riconosciuta!” (p.66), “prendimi con te, così che tu possa finalmente riconoscermi” (p.75), “L’incantesimo della cecità” (p.76), “Tu, tu che mai mi hai conosciuto e che io ho sempre amato” (p.11). Etc. etc., perchè di frasi simili è pieno il testo.
Da questi ed altri indizi si capisce che la Sconosciuta soffre, più che di non vedere il suo amore ricambiato, di non essere mai riconosciuta, quindi ricordata, quindi di non esistere, agli occhi dell’amato preso dalla “cecità”.
La cosa peggiore non è l’odio, ma l’indifferenza. Questa donna tanto innamorata si dispera davanti all’indifferenza di colui che ama. Ogni volta che lo incontra si rende conto di essere ai suoi occhi una perfetta sconosciuta. Agli occhi di lui lei non ha mai una identità, una esistenza concreta. Lui non la “vede”. Lei vorrebbe che lui la riconoscesse e dunque, riconoscendola, le conferisca una identità e una esistenza.
Ma le cose sono davvero così semplici come sembrano? O c’è anche dell’altro?
Perchè a me, in tutto questo sembra di cogliere il senso di un gioco perverso.
Perchè se è vero che lo scrittore appare come un uomo piuttosto leggero, nelle sue relazioni amorose, è altrettanto vero che lei non fa nulla di tangibile per entrare in una vera relazione con lui, per confrontarsi, per farsi riconoscere. Anzi. Fa di tutto per nascondersi, per non rivelarsi.
Salvo poi lamentarsi di non essere stata… riconosciuta.
L’arrendevolezza, la remissività, lo stare ai margini di questa donna è solo di superficie. In realtà, è lei che ha sempre condotto il gioco: è stata sempre e solo lei a decidere quando incontrarlo, quanto svelarglisi, quanto rivelarglisi. Anche adesso, alla fine della vita, è lei a decidere tutto.
Non gli ha mai detto nemmeno che da lui ha avuto un figlio, e solo alla morte sua e del bambino lo scrittore lo apprende.
Da questa lettera.
Apparentemente vittima, la donna ha in realtà esercitato nei confronti dell’uomo il grande potere di negargli nei fatti alcuna possibilità di assumere qualsiasi tipo di responsabilità.
Dicendo continuamente “Non chiedo niente” ha in realtà sempre vietato all’uomo la possibilità di dare o negare qualsiasi cosa. Gli ha negato la possibilità di scegliere.
Non c’è del delirio di onnipotenza, in questa Sconosciuta?
L’unico momento in cui la donna decide di esistere finalmente agli occhi del suo amato (perchè — ripeto — è lei, e solo lei che, fino alla fine, decide ogni cosa) è quando gli scrive questa lettera.
Trovo estremamente significativo che lo strumento che sceglie per “il momento della verità” sia quello della scrittura, cioè proprio lo strumento di comunicazione utilizzato professionalmente dall’amato che, non dimentichiamo, è… uno scrittore.
Uno scrittore affermato ed anzi famoso.
Come Stefan Zweig, colui che ha scritto la lettera della sconosciuta.
Questo libro è sicuramente una storia d’amore, ma è anche — e chissà, forse soprattutto — un libro sul rapporto con la scrittura.
Lettera di una sconosciuta è un magnifico racconto sulle relazioni tra le persone e sul legame a volte doloroso e indispensabile che colui/colei che scrive ha con la scrittura.
Scrivere.
Scrivere per esistere, perchè non sia (stato) tutto vano.
Scrivere per vivere.
Una curiosità biografica che mostrerebbe come in questo libro Zweig si sia persino concesso il lusso di giocare con la propria autobiografia.
La sua relazione sentimentale con Friderike von Winternitz, che poi divenne la sua prima moglie, era infatti cominciata con una lettera anonima di lei, grande ammiratrice di Zweig, scrittore già affermato.
Si dice che, quando uscì il racconto, Frederike ne rimase profondamente ferita…
Friderike von Winternitz nel 1912
Friderike e Stefan Zweig nel 1920
Dal racconto di Zweig il grande Max Ophüls trasse nel 1948 lo splendido film Lettera da una sconosciuta.
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