LEZIONE DI TEDESCO – SIEGFRIED LENZ

Lezione di tedesco
Siegfried LENZ, Lezione di tedesco (tit. originale Deutschstunde), traduz. di Luisa Coeta, p.506, Neri Pozza, Collana I narratori delle tavole, ISBN 9788854501027

Nato nel 1926 nella Prussia orientale, per molto tempo redattore del giornale Die Welt, Siegfried Lenz appartiene alla stessa generazione di Heinrich Böll e Günter Grass, con il quale ha condiviso la battaglia politica a fianco di Willy Brandt. Lezione di tedesco, pubblicato nel 1968 in Germania dove ha avuto un immenso successo e dove è stato anche adattato per la televisione, è stato tradotto in sette lingue.

Figlio di un ufficiale della Dogana, il giovane Siegfried si iscrisse al Partito Nazista nel luglio del 1943 e arruolato nella marina tedesca.

Quando però gli venne ordinato di partecipare alla esecuzione di un altro marinaio accusato di abbandono del dovere, disertò e si nascose in Danimarca fino a quando venne fatto prigioniero di guerra dagli inglesi.

Liberato molto presto, diventò giornalista a Die Welt e, dopo pochi anni, cominciò la sua carriera di scrittore.

Poco conosciuto, io credo, in Italia, Lenz merita invece di esser letto. Questo Lezione di tedesco è un romanzo molto bello, in cui Lenz racconta la vicenda di Siggi, figlio adolescente di un poliziotto tedesco. Il ragazzo si ribella all’autorità  (il che gli procura l’invio in riformatorio) mentre il fratello maggiore, Klaas, arruolato nella Wermacht, prima si spara ad una mano per non essere mandato a combattere e poi finisce per disertare.

Nel riformatorio “per ragazzi disadattati” in cui viene rinchiuso Siggi — l’adolescente protagonista ed io narrante del romanzo  — e che si trova in un’isoletta dell’Elba vicino ad Amburgo, durante una lezione di tedesco viene assegnato ai ragazzi un componimento che ha per tema “Le gioie del dovere”.

Allo scadere del termine, Siggi restituisce il foglio bianco. Per questo viene, ovviamente, punito.
Ma se non ha svolto il tema non è stato per negligenza nè tanto meno — spiegherà al direttore della casa di correzione — perchè lui non abbia nulla da dire sull’argomento, ma, al contrario, perchè cose da dire ne ha troppe, e non sapeva da dove cominciare e come sintetizzare.
Posto infatti in cella di isolamento fino a quando non avrà svolto il tema, Siggi comincia a scrivere e dopo due o tre giorni il direttore gli fa sapere di essere soddisfatto della sua dimostrazione di buona volontà e di considerare il compito perfettamente assolto anche dopo una decina di pagine. Siggi può dunque ritornare tra i suoi compagni. A questo punto però è lo stesso Siggi a chiedere, implorare che gli venga concesso di rimanere in cella fino a che non avrà scritto tutto quello che ha da dire. Effettivamente Siggi rimarrà volontariamente in cella per mesi e riempirà più di cinquecento pagine. Le cinquecento pagine del libro che leggiamo.

Il romanzo si sviluppa dunque su due piani temporali e in due luoghi diversi della Germania del nord. Quando Siggi scrive il suo componimento e riempie quaderni su quaderni siamo ad Amburgo nel 1954, il ragazzo compie ventun anni. Ma i fatti di cui narra Siggi si svolgono in un piccolo e sperduto paese battuto dai venti e dal mare del Nord, nella pianura dello Schleswig-Holstein. Siamo nel 1943.

Emil Nolde
Emil Nolde
Nuvole estive, 1913
© Museo Thyssen Bornemisza © Nolde Stiftung Seebüll

Questa data non è affatto casuale: è infatti quella in cui lo stesso Lenz disertò dall’esercito tedesco.

Il padre di Siggi è l’unico poliziotto della stazione di polizia di Rügbull ed è maniacalmente, ottusamente rispettoso dell’ordine e dell’obbedienza al dovere. In questo caso si tratta di obbedire agli ordini in regime nazista, ma potrebbe anche trattarsi di un qualsiasi altro regime. Il padre di Siggi non fa distinzioni tra un regime o un altro: per lui è l’obbedienza che conta, ed il rispetto degli ordini emanati dall’Autorità. A prescindere dal contenuto di questi ordini, a prescindere da chi sia questa Autorità.

Succede un giorno che Berlino ordina al poliziotto di … impedire ad un pittore di dipingere!
Il pittore in questione — che abita nella sua circoscrizione — è Max Ludwig Nansen. Nonostante sia molto famoso in Germania e a livello internazionale, i nazisti hanno confiscato tutti i suoi quadri perchè la sua arte è considerata “arte degenerata”.

“Se si guarda la gente che fa: facce verdi, occhi da mongoli, corpi sbiaditi, tutte immagini straniere: è la malattia che dipinge assieme a lui. Una faccia che sia tedesca non c’è. […] Alla febbre, vien fatto di pensare, tutto è dipinto in preda alla febbre. Ma all’estero è molto richiesto, la interruppe mio padre. […] Perchè là sono tutti malati allo stesso modo, disse mia madre. Per questo si circondano di quadri malati.  Ma guarda le bocche delle sue figure, storte e nere, gridano o balbettano: una parola assennata non esce mai da quelle bocche, comunque non una parola tedesca. Ogni tanto mi chiedo che lingua parli quella gente.

Tedesco no di certo, disse mio padre”(p.198)

Emil Nolde
Emil Nolde
Emil Nolde,
Masks Still Life III (1911)

Adesso il poliziotto non solo deve recapitare al pittore l’ordine di non dipingere, ma anche controllare che non contravvenga al divieto.

“Nel 1943, tanto per cominciare, un venerdi di aprile di primo o tardo mattino, mio padre Jens Ole Jepsen, guardia della stazione di polizia di Rugbüll, l’avamposto più a nord dello Schleswig-Holstein, si preparò per la missione di servizio a Bleekenwarf: doveva trasmettere al pittore Max Ludwig Nansen — che da noi tutti chiamavamo semplicemente il pittore e non hanno mai smesso di chiamare così — l’ordine giunto da Berlino che gli vietava di dipingere”

Nansen e il poliziotto si conoscono sin dall’infanzia, sono amici. Le loro famiglie si frequentano. Tutti i motivi che — ci si aspetterebbe — potrebbero calmare l’ ardore repressivo di Jensen ed attenuare gli effetti pratici del divieto non fanno in realtà che esasperarli sino a livelli patologici. Il poliziotto tiene infatti a dimostrare a tutti, ai suoi superiori, alla moglie, ai figli, a tutti gli abitanti del paese a che punto l’obbedienza agli ordini sia ritenuto da lui un valore supremo: “Mi basta solo che quelli vedano che ho fatto il mio dovere” (p.82)

A questa idea del dovere, qualunque altra considerazione o affetto deve soccombere: “io non mi chiedo che cosa uno ci guadagni facendo il proprio dovere e se ci ricavi qualcosa o meno. Dove andremmo a finire se per ogni cosa ci domandassimo: dopo che succederà? Il proprio dovere non si può compierlo a seconda dell’umore che hai e di quel che ti suggerisce la prudenza […]” ed al vecchio portalettere che gli ricorda: “Ce ne sono stati diversi che si sono salvati perchè al momento opportuno non hanno fatto il loro dovere. E allora non l’hanno fatto mai, concluse mio padre asciutto” (p.316).

“Io faccio solo il mio dovere” (p.82)

Quante volte abbiamo letto e sentito la fatidica frase “Io obbedivo soltanto agli ordini” “Io non ho fatto che eseguire un ordine”? Quanto sangue, quanti crimini sono stati commessi trincerati dietro questa frase?

Il giovane Siggi però, affezionato a Nansen ed affascinato dai suoi dipinti si opporrà all’accecamento imbecille e criminale di suo padre. Dapprima in modo passivo, poi in maniera attiva. Schierandosi di fatto dalla parte del pittore, l’adolescente Siggi contrapporrà al “dovere di obbedienza” maniacalmente ed ottusamente professato dal padre quello che possiamo definire il “dovere di disobbedienza”. All’obbedienza cieca viene contrapposta la libertà della creazione artistica (“Si può forse proibire di sognare?” dice il pittore al poliziotto).

“Bene, disse a bassa voce [il pittore Nansen al poliziotto], se sei convinto che si debba fare il proprio dovere, allora io ti dico il contrario: si deve fare anche qualcosa contro il proprio dovere. Il dovere per me è solo cieca presunzione. E’ inevitabile che si facciano cose non richieste dal dovere” (p.189).

Autore sensibile ed intelligente, Siegfried Lenz sembra cercare di esorcizzare nella sua opera ciò che venne imposto a lui stesso nella sua infanzia e adolescenza.

Lezione di tedesco è uno splendido libro, che conquista a poco a poco, lentamente ma inesorabilmente. Cattura con il suo ritmo calmo, con il suo equilibrio tra i due piani temporali del presente e del passato, con i suoi personaggi tutti ben delineati e caratterizzati, per il modo con cui vengono trattati i temi della della funzione della memoria e del ricordo nella costruzione dell’identità personale, della dialettica tra dovere e disobbedienza, tra costrizione e libertà, del potere sovversivo/eversivo dell’arte. Perchè, dice il giovane Siggi se esistono “le gioie del dovere”, ci sono anche “le vittime del dovere: in genere non se ne parla” (p.386)
E’ un libro da leggere senza fretta, in cui contenuto e forma si trovano, secondo me, in rara armonia.

E poi c’è la natura, descritta magnificamente.
Alla natura, al paesaggio, ai fenomeni atmosferici Lenz dedica pagine splendide. Mentre leggiamo Lezione di tedesco ci par proprio di sentirlo, questo vento del mare del Nord che travolge tutto e che costringe le persone a camminare con la schiena piegata in due, ci par proprio di vedere, nel cielo che può diventare anche di un limpidissimo blu, il volo delle cicogne e sentire le grida assordanti delle migliaia di gabbiani, presenza costante in tutte le scene del romanzo che si svolgono all’aperto.

Non può quindi stupire che il libro abbia avuto un così grande successo ed in Germania abbia valso a Lenz la stessa notorietà di Grass e di Böll.

Personalmente mi auguro che in Italia dove, per quel che mi risulta, per ora è reperibile (grazie all’iniziativa di Neri Pozza) soltanto questo romanzo, vengano tradotte e pubblicate anche altre opere di Siegfried Lenz. Io le leggerei davvero con grande piacere.

Per Max Ludwig Nansen, uno dei personaggi pricipali del romanzo, Lenz si è fortemente ispirato alla personalità ed alla vita del pittore espressionista Emil Nolde, (il cui vero nome era Emil Halsen) cui sotto il Terzo Reich venne vietato di dipingere in quanto “artista degenerato”.

Siegfried Lenz
Siegfried Lenz
  • Siegfried Lenz >>
  • La scheda del libro >>
  • Ludmilla, un racconto di Lenz scaricabile (in italiano) in formato .pdf>>

Autore: Gabrilu

https://nonsoloproust.wordpress.com

13 pensieri riguardo “LEZIONE DI TEDESCO – SIEGFRIED LENZ”

  1. Beh direi che ho trovato molti spunti wagneriani nel tuo post.
    Il richiamo alla natura, il nome del protagonista (tra l’altro, magari gli stava meglio Siegmund che Siegfried, visto il cognome Lenz).
    Non conosco questo scrittore, però condivido di questo tuo bellissimo post la chiosa principale, molto attuale in questi giorni.

    Quante volte abbiamo letto e sentito la fatidica frase “Io obbedivo soltanto agli ordini” “Io non ho fatto che eseguire un ordine”? Quanto sangue, quanti crimini sono stati commessi trincerati dietro questa frase?

    Troppi, decisamente troppi.
    Ciao gabrilu.
    (il post sull’Aida è lì che t’aspetta eh? :-))

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  2. Amfortas
    Ah, birichino di un Amfortas! Che provocatore, che sei!
    Che credi, anch’io avevo associato Lenz a Siegmund 🙂

    Du bist der Lenz, nach dem ich verlangte
    in frostigen Winters Frist.
    Dich grüßte mein Herz mit heiligem Grau’n,
    als dein Blick zuerst mir erblühte.
    Fremdes nur sah ich von je,
    freudlos war mir das Nahe.
    Als hätt’ ich nie es gekannt, war, was immer mir kam.
    Doch dich kannt’ ich deutlich und klar:
    als mein Auge dich sah,
    warst du mein Eigen;
    was im Busen ich barg, was ich bin,
    hell wie der Tag taucht’ es mir auf,
    o wie tönender Schall schlug’s an mein Ohr,
    als in frostig öder Fremde
    zuerst ich den Freund ersah.

    Uno dei duetti più meravigliosissimissimissimi di tutta la storia dell’opera lirica (IMHO). Pensa tu che lo so a memoria e lo canticchio anche non conoscendo il tedesco

    Questa la mia versione preferita in assoluto

    http://it.youtube.com/watch?v=NB5e62wSjEQ

    … Ma tornando al libro di Lenz: il tema (o leit motiv, giusto per rimanere in lessico wagneriano) degli effetti nefandi che può avere la acritica obbedienza al dovere è, infatti ed ahinoi, sempre anche troppo attuale…

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  3. Il libro di Sigfried Lenz Lezione di tedesco era già stato pubblicato nel1973 da Mondadori nella collana Scrittori Italiani e Stranieri sempre con la stessa traduzione di Luisa Coeta

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  4. Bella la tua recensione, molto interessante lo stile del libro e avvincente l modo con cui viene posta questa classica questione etica. Ricorda Antigone. 

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  5. http://solot[..] Bisogna superare la diffidenza del suo spessore e superare le prime cinquanta pagine, insistere, fiduciosi negli amici che te lo hanno raccomandato, e poi ecco che il romanzo ti rapisce, ti emoziona, ti risveglia pensieri nella mente, e ti ritrovi a di [..]

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  6. leggerlo verso la fine dell’anno scolastico per me (che sono prof., per di più di filosofia, per di più patita della mitteleuropa) è stato quanto di più depressivo esista. Il procedere faticoso immersa nella analisi descrittiva ekfrastica, come scalare una montagna che non arriva mai alla vetta e per di più investita dal vento gelido del Baltico….

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  7. “Serve ancora un blog?” ti interroghi di là con Amfortas ed io rispondo sì, servono i blog di un certo tipo come il tuo e altri. Servono assai assai, perché forniscono stimoli di alto livello, suggerimenti di lettura, aiuto nell’ approfondimenti dei testi. Se dovessi elencare i libri che ho letto, indotta dai tuoi post, farei una lunga lista. Qui racconto di come, alla ricerca di una chiave di lettura per questo libro, abbia trovato nel tuo post ( e in quello di “Dietro le parole”) un sostegno. Ho terminato da un po’ la lettura di Lezione di tedesco, un romanzo molto bello, che, come scrivi, ti conquista a poco a poco. Così è stato ma su quel libro ho meditato a lungo, rimuginato e …ancora rimugino.
    Mi sembra ancora un romanzo affascinante ma, per certi aspetti, misterioso, che propone aspetti impliciti, nascosti. La scelta di centrare la narrazione su uno spicchio di vita in Germania durante la seconda guerra mondiale, evitando accuratamente di raccontare le devastazioni del Nazismo, o di fare accenno alla persecuzione degli Ebrei, è in un primo momento estraniante per chi legge. Poi, piano piano si comprende il taglio complesso che Lenz ha scelto: la chiave di volta è la Pflicht ( su cui avevano ragionato Kant, Hegel, Schiller), il dovere e la sua connotazione antropologica. Nell’ atmosfera grigia dell’ obbedienza, si stagliano due figure antitetiche e complemetari insieme. Il padre di Siggi e Hansen, il pittore: il dovere e la libertà, eppure in questo scontro il pittore conserva elementi misteriosi. Egli, non ribelle in maniera manifesta, rimane legato a quel loro suolo. Sono due modi diversi di vita nel Reich? Hansen si rifiuta di fuggire altrove ( in Inghilterra), ma resta, come prova di un altro modo- quello giusto- di vivere la patria? Siggi è l’ occhio che osserva e che tenta di salvare la situazione attraverso la memoria capillare; ricordare, ci dimostra, impone un sacrificio, che forse sarà stato inutile. Ecco, io ha avuto l’ impressione di un prisma che suggerisca luci, ombre, oscurità, tutte proposte al lettore. .
    Poi, certo, quella terra piatta, i gabbiani, luoghi che ho visto, come il museo di Nolde, sono un valore aggiunto, in armonia con tutto il romanzo e quello stile che procede per allusioni e svelamenti, con grande perizia stlistica.
    Mi fermo qui per non sforare ancora, ma vorrei concordare con te sul fatto che gli scrittori tedeschi a me piacciono più o meno sempre…
    Dunque, auguri cirscospetti, come la simpatica vignetta ci suggerisce eavanti con il blog, sempre! Auguri e buone cose, gabrilu!

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    1. Cara Renza bello rivederti e bello per me sapere che hai tanto apprezzato Lezione di tedesco. Condivido complessivamente tutto quello che ne scrivi, la differenza forse tra le nostre due letture sta nel fatto che da parte mia mi è sembrato subito che il tema forte e centrale del romanzo fosse proprio quello dell’obbedienza e del non mettere in discussione gli ordini, di qualunque natura essi fossero. Tema centrale, a mio parere, che non a caso costituì l’argomento principe sostenuto dagli imputati e dai difensori dei criminali nazisti al processo di Norimberga e di Heichmann dopo, nel processo di Gerusalemme. “Non ho fatto che obbedire agli ordini” (quando poi, ormai è storicamente provato che, contrariamente a quanto generalmente si pensa, in molti casi non erano previste alcune sanzioni per chi ad esempio, anche tra le SS, si rifiutasse di partecipare ai massacri: chi si rifiutava veniva semplicemente trasferito ad altri reparti). Tutto ruota attorno a questa semplice frasetta…
      L’altro punto che indichi, e che mi stimola parecchio, è quello del rifiuto del pittore Hansen di fuggire, lasciare la Germania nonostante in essa gli venga negato il diritto di esercitare ciò che costituisce la sua principale ragione di vita, e cioè dipingere.
      Non è “misterioso” Hansen, secondo me, è “misterioso” il percorso decisionale che ciascun individuo si trova a intraprendere in circostanze drammatiche e più o meno simili.
      Nel caso specifico: cercare di andarse o rimanere? Le scelte furono le più diverse, come diverse erano, per ciascuna di quelle persone, le (molte) variabili. Su tutte, la discriminante dell’essere o no ebrei. Tutte quelle scelte furono in ogni caso sofferte e dolorose e non tutte ebbero buon esito. Soffrì chi se ne andò e soffrì chi restò. In maniera diversa, ma soffrirono tutti.
      I Mann (tutti, chi prima chi dopo) decisero di abbandonare la Germania, lo stesso fecero Walter Benjamin (che però si suicidò alla frontiera spagnola per non essere catturato dalla Gestapo) e tanti altri; Stephan Zweig si decise solo molto tardi, riuscì ad arrivare nell’America del Sud ma poi non resse e si suicidò. Hans Fallada, che pure avrebbe potuto andarsene senza troppi problemi (tra l’altro non era nemmeno ebreo, particolare che – non c’è dubbio – per chi invece lo era faceva una gran differenza) decise di rimanere in Germania, che però percepiva ormai come “il [suo] paese straniero”. E si potrebbe continuare a lungo. Forse le motivazioni di Hansen potrebbero venire esplorate con maggiore profondità? Non lo so.
      Rimane il fatto che si, Lezione di tedesco è un libro che mi è rimasto dentro. Un autore che all’epoca non conoscevo affatto, che ho scoperto a poco a poco, un libro che ho cominciato a leggere con modeste aspettative e che invece mi ha catturata ed avviluppata pagina dopo pagina…
      Ok, mi fermo qui. Ottima la definizione “auguri circospetti”: è esattamente questo, il senso che intendevo dare al mio post 🙂

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