TRA AMICHE. LA CORRISPONDENZA DI HANNAH ARENDT E MARY MCCARTHY 1949-1975

Hannah Arendt
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Comincia con una gran litigata, l’amicizia tra Hannah Arendt e Mary McCarthy. Si incontrano per la prima volta nel 1944 a New York, in un bar di Manhattan.

Hannah Arendt, 38 anni, filosofa ebrea tedesca sfuggita alla Germania nazista.Fuggita forse anche — chi può saperlo? — dal prof. Heidegger, terrorizzato dal pensiero che la frequentazione con una ragazza ebrea potesse compromettergli il tranquillo tran-tran coniugale e la trionfale carriera accademica garantita dalle benevolenti e protettive ali dell’aquila nazista.

Mary McCarthy, 32 anni, scrittrice e giornalista americana. Futura autrice di quel The Group (Il Gruppo) che è stato un libro “cult” per molte donne della mia generazione (ne ho parlato in questo post).
Mary McCarthy. Sempre pronta a litigare. Specialmente con le donne.

Sono state bene assieme lei ed Hannah. Si sono trovate simpatiche.

Nel 1945 però, ad una festa a New York, McCarthy fa un’infelice osservazione a proposito di Hitler. Arendt si infuria: “Come puoi dire questo davanti a me – una vittima di Hitler, una persona che è stata in campo di concentramento!”.

Ma tre anni dopo, incontrandosi ad una fermata del metrò, Arendt le dice “Smettiamola con queste sciocchezze. La pensiamo allo stesso modo”.

Mary le chiede scusa per la battuta su Hitler, Hannah ammette di non essere mai stata in un campo di concentramento.

“Da allora in poi, la loro amicizia prosperò come rare volte tra gli intellettuali moderni” annota Carol Brightman, la curatrice dell’epistolario.

Questo carteggio tra Hannah Arendt e Mary McCarthy raccoglie duecentoventicinque lettere che vanno dal 1949 al 1975.

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McCarthy risiede prevalentemente in Europa e a Parigi, Arendt abita e lavora negli Stati Uniti, a New York.

La curatrice del volume che, come si legge nel risvolto di copertina, è anche lei una terza amica, lo definisce “un romanzo epistolare”.

Ed infatti il carteggio è avvincente come un romanzo.

Lettera dopo lettera, ascoltiamo queste due donne dialogare sui temi più svariati che vanno dalla filosofia alla letteratura, dall’amore e la sessualità alle riflessioni sulla vita degli intellettuali del ‘900.

Si scambiano le bozze dei propri manoscritti inediti perché l’altra li legga, li commenti, li corregga ma si forniscono anche ricette di cucina; si raccontano i propri successi o difficoltà professionali ma anche i piccoli fastidi della quotidianità (fare la spesa, la domestica che si ammala nei momenti meno opportuni…), i raffreddori, i primi acciacchi dovuti all’età che avanza…

Si consigliano, si criticano, si sostengono a vicenda nei momenti difficili.

Hannah Arendt Mary McCarthy foto gruppo

Da sinistra a destra (seduti) Nicola Chiaromonte, Mary McCarthy, Robert Lowell.In piedi da sinistra: Heinrich Blücher, Hannah Arendt, Dwight McDonald, Gloria MacDonald. Courtesy Vassar College Library & Bombsite Magazine (fonte)

Crisi personali, come durante la travagliata storia d’amore di McCarthy con James West, addetto dell’ambasciata americana a Varsavia, che diventa poi il suo quarto marito. O nei momenti di lutto, alla morte di Heinrich Blücher, il marito di Hannah.

Crisi professionali, come quando Arendt viene pesantemente attaccata per le idee esposte nel suo libro La banalità del male. Heichmann a Gerusalemme sul processo del 1961 al criminale nazista. Di fronte all’ostinato silenzio dell’amica, che si rifiuta di replicare alle critiche, è Mary che corre in sua difesa con un articolo sulla prestigiosa rivista Partisan Review. Mary arriva ad affermare, in The hue and the cry che gli attacchi alla filosofa vanno assumendo le dimensioni di un pogrom: As a gentile I don’t understand

“Le due donne formavano un’alleanza, e cercavano nell’amicizia un riparo dagli altri gruppi i cui fallimenti assillavano la loro generazione” scrive ancora Carol Brightman.

Scorrono dunque sotto i nostri occhi, visti attraverso i loro occhi, il caso Heichmann e il Maggio francese; l’assassinio di Kennedy e il Vietnam e il processo sul massacro di My Lai – che McCarthy segue integralmente e su cui scriverà un reportage che diventerà famoso – ; il colpo di stato in Cile e il Watergate.

Il tono è sempre quello di chi vuole capire e farsi capire, affettuoso ma non lezioso o affettato, serio ma con tratti di irresistibile umorismo da parte di entrambe, pacato ma mai noioso. Si coglie, in queste lettere, soprattutto la cifra della sincerità e dell’apertura.

Delle due, è McCarthy che scrive di più: Hannah scrive di meno, quando ha voglia di sentire l’amica, preferisce ricorrere al telefono, anche se si tratta di telefonate intercontinentali.

Un tema importante e ricorrente delle lettere è quello che Arendt chiama “la faccenda del pensare”, il suo “passatempo preferito”

“Carissima Mary,
Dio sa perché ti scrivo soltanto oggi
(…)
Il problema è che, per scrivere, si deve smettere di pensare; e poi, si può pensare comodamente, mentre scrivere è tanto noioso…”

(Lettera del 17 ottobre 1969)

Un altro leit motiv è quello della vita dei letterati, spesso descritta con tratti gustosissimi davvero a volte al limite del pettegolezzo, o dell’ avarizia dei parigini (McCarthy).

Ecco, ad esempio, cosa pensa la Arendt della coppia Sartre – De Beauvoir:

“Ho appena finito di leggere Les Mots (di Sartre) – e mi ha così disgustata che ero quasi tentata di recensire questo pezzo pieno di bugie sommamente complicate. (…) Mi domando come spiegherà il fatto che non ha partecipato alla resistenza, e infatti non ha mai neanche alzato un dito.
Leggerò les confessions di Simone, per il loro valore di pettegolezzo, ma anche perché questo genere di malafede acquista un certo fascino.” (Natale 1964)

“Per settimane ho letto La Force des Choses di Simone de Beauvoir come una specie di sonnifero. E’ uno dei libri più bizzarri che ho letto negli ultimi anni. Strano che nessuno lo abbia ancora fatto a pezzi. Per quanto mi sia antipatico, sembra che Sartre debba scontare tutti i suoi peccati con questo tipo di croce. Specie se si considera che l’unica circostanza attenuante, nel caso “contro di lei” è il suo amore incrollabile per lui, commovente davvero. (…) non dev’essere facile vivere insieme a questi personaggi potenti e dominatori…” (2 aprile 1965)

Hannah è molto trascurata nello scrivere, e McCarthy si infastidisce dell’uso disinvolto che fa dell’inglese. Hannah le manda le bozze perchè lei le corregga e Mary le rimprovera vivacemente “la tua disinvoltura verso le parole (…) quello che tu fai alla lingua…”

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Hannah Arendt e Mary McCarthy nel 1960 (fonte)

La differenza tra loro è soprattutto sul tema del cambiamento (non quello politico, che entrambe si augurano nei momenti del Watergate, o della guerra del Vietnam) ma personale ed in particolare nell’atteggiamento nei confronti dell’altro sesso.

McCarthy pensa che si possa cambiare per amore. Arendt, come Nietzsche, pensa invece che si debba cercare di essere “ciò che uno è”.

Il flusso delle lettere si interrompe solo con la morte di Hannah, colta da attacco cardiaco il 4 dicembre del 1975.

L’8 di dicembre del 1975 a New York, nella Riverside Memorial Chapel ha luogo il funerale di Hannah Arendt. Viene recitata la liturgia funebre ebraica, il kaddish, come già nel 1970 Hannah aveva voluto per il suo compagno della vita Heinrich Blücher.

Mary McCarthy prende il definitivo commiato da lei pronunciando il discorso Saying Goodbye to Hannah pubblicato in The New York Review of Books e ristampato in Occasional Prose in cui parla della sua amica come di una donna


“Affascinante, piena di seduzione, femminile (…), gli occhi così splendenti e sfavillanti, pieni di stelle quando era felice o eccitata, ma anche profondi, scuri, remoti, pozzi di interiorità”

 

Epistolario Arendt-McCarthy

Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949 -1975, (tit. orig. Between Friends. The Correspondence of Hannah Arendt and Mary McCarthy. 1949-1975), a cura di Carol Brightman, traduzione dall’inglese di Amineh Pakravan Papi, Sellerio editore, Palermo, 1999

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  • La scheda del libro >>
  • Sul Blog Minima&Moralia l’interessante post in cui si riassume “la controversia”, e cioè il feroce dibattito che si scatena intorno ad Hannah Arendt quando pubblica sul New Yorker, in 5 parti, dal 16 febbraio al 16 marzo del 1963, un ritratto di Adolf Heichmann che poi sarà raccolto in un libro di grande successo Eichmann in Jerusalem. A Report on the banality of the Evil, tradotto in Italia con il titolo La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (Feltrinelli 1964) >>
  • Un abstract del discorso Saying Good-by to Hannah pronunciato da Mary McCarthy al funerale di Hannah Arendt sul sito del The New York Review of Books. Il testo integrale è accessibile però soltanto agli abbonati della rivista on line >>
  • E’ del 2012 il film Hannah Arendt della regista tedesca Margarethe Von Trotta interpretato da Barbara Sukowa (Hannah Arendt), Janet McTeer (Mary McCarthy), Alex Milberg (Heinrich Blücher), Klaus Pohl (Martin Heidegger).

Purtroppo io non sono (ancora) riuscita a vederlo, perciò non posso dire nulla. Questo è solo un breve video che ho trovato su YouTube

 

Autore: Gabrilu

https://nonsoloproust.wordpress.com

4 pensieri riguardo “TRA AMICHE. LA CORRISPONDENZA DI HANNAH ARENDT E MARY MCCARTHY 1949-1975”

  1. Molto bello e intenso e ben interpretato il film in lingua originale sotto titolato, la cui visione impegna, allenando ad una attenzione maggiore che rende più penetrante i dialoghi. Un film che stimola il pensiero..

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    1. @Francesca
      mi sto attrezzando 😉
      In giro ho letto recensioni del film completamente opposte: giudizi eccellenti e stroncature spietate. Che si stia ripetendo, con il film, la famosa “controversia”, dato che il film mi sembra si occupi prevalentemente proprio del periodo del processo di Gerusalemme?
      In genere però io mi fido della Von Trotta, regista che apprezzo molto e che finora non mi ha mai delusa. Vedremo.
      Ciao!

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  2. Per strani motivi, il film non ha avuto diffusione in Italia. A Bologna è stato proiettato in due sale, in giorni contingentati. Io l’ ho visto e mi è è paciuto moltissimo e per la regia e per l’ interpretazione della Sukova, che ti fa pensare che Hannah Arendt non poteva che essere proprio così. Intensi i dialoghi, le ricostruzioni, tutti i personaggi. Minima e moralia ha pubblicato un commento al vetriolo, ma, nella mia beata ignoranza, mi sono permessa di non condividerlo.
    Esiste- ma forse lo si sa già- il dvd del film pubblicato da Feltrinelli, allegato ad un breve saggio- non indimenticabile- di Simona Forti sulla ” normalità” del male. Io l’ ho regalato a diverse persone che avevano perso il film.

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  3. Francesca e Renza
    Ho finito di vedere il film della Von Trotta proprio cinque minuti fa. In originale (bellissimo il misto ebraico,inglese e tedesco) con sottotitoli italiani. Ormai, se posso, cerco sempre di procurarmi le versioni originali di film e serie televisive, non sopporto più il doppiaggio. Ascoltare le voci originali è tutta un’altra cosa…
    Mi è piaciuto molto, per la sceneggiatura, l’interpretazione della Sukowa, i dialoghi. Per i contenuti, su cui non mi è possibile dilungarmi qui ed ora, ma intanto ho tirato giù dallo scaffale “La banalità del male”. Ho intenzione di rileggerlo in questi giorni, dopo ben quattordici anni dalla prima volta.

    Il film non è molto “cinematografico”, ha più un impianto teatrale, che però non mi ha disturbata. Mi sembra anche che tutta la faccenda sia resa molto chiara e comprensibile anche per coloro che non conoscono i dettagli della biografia della Arendt e tutti i meandri del suo pensiero; anche coloro che non hanno letto “Le origini del totalitarisno” credo che possano comunque cogliere il nocciolo della riflessione della Arendt sulla questione Heichmann.
    Neanche io, nel mio piccolo, condivido la critica feroce di Minima&Moralia.

    L’unica nota stonata del film mi è sembrata la rappresentazione di Heidegger, a mio parere piuttosto macchiettistica. Ma forse la cosa è stata voluta e non si tratta di una sbavatura.
    Heidegger era un ometto e come tale e’ stato rappresentato.Ben gli sta.
    Con buona pace di tutti quelli che “Heidegger ohibò'”.

    Infine sulla Sukowa: ho avuto la fortuna di vederla/ascoltarla dal vivo a Palermo tanti anni fa in teatro. Interpretava ( e cioè recitava/cantava a piedi nudi sul palcoscenico) il “Pierrot lunaire” di Schoemberg. Uno spettacolo straordinario. Bravissima. Una di quelle performance che rimangono nella memoria anche dopo anni. Esiste anche il DVD. Ma sto divagando 🙂

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