IL DONO – VLADIMIR NABOKOV

Nabokov Il dono
Vladimir NABOKOV, Il Dono (tit. orig. Dar), a cura di Serena Vitale, Adelphi, Collana Gli Adelphi n.124, p.474, EAN13 9788845913518

Scritto tra il 1935 e il 1937 tra Berlino e Parigi, Il Dono esce a puntate (ma con l’omissione del quarto capitolo — ci tornerò, su questo quarto capitolo) a Parigi tra il 1937 e il 1938 sulla rivista dell’emigrazione russa Sovremennye Zapiski.
Ultimo testo letterario scritto da Nabokov in russo (tutti i successivi vennero scritti in inglese), fu pubblicato in versione integrale soltanto nel 1952 a New York. Questa traduzione dell’Adelphi, curata da Serena Vitale (ah, il suo meraviglioso Il bottone di Puskin!), è la prima fondata sull’originale russo.

Dico subito che leggere Il Dono è stata per me esperienza affascinante ma non facile. Giunta all’ultima pagina ho sentito il bisogno di ricominciarlo daccapo. Insomma me lo sono letto due volte di fila.

La difficoltà che ho incontrato non sta nella struttura e nemmeno nello stile del romanzo ma piuttosto nel fatto che una comprensione appena appena decente di molte pagine di questo testo di Nabokov implica una conoscenza non superficiale della letteratura russa. Perchè è la letteratura russa la vera protagonista di questo romanzo.

Dice bene infatti Serena Vitale nel suo splendido e imprescindibile saggio-postfazione: “La lettura del Dono presuppone un lettore […] che conosca le regole del gioco, che sappia immediatamente decifrare le allusioni, le citazioni camuffate o implicite, gli ammiccamenti, le mezze parole, gli aggiustamenti e le sovrapposizioni — un lettore che abbia con la letteratura russa una lunga dimestichezza, una lunga confidenza” (p.458)

Ed in effetti, per me che non conosco il russo e che ho una conoscenza sicuramente non approfondita della letteratura russa (tanto per fare un esempio, ma importante: conosco tutti i testi in prosa di Puskin, ma non ho mai letto il suo vero capolavoro, l’Eugene Oneghin) molto spesso ho avuto la sensazione, leggendo, di rimanere troppo in superficie, la sensazione che una buona percentuale dei riferimenti contenuti del testo di Nabokov mi sfuggivano, la sgradevole impressione ai limiti della frustrazione di poter godere solo in minima parte delle meraviglie che — questo lo sentivo — il romanzo contiene.

Eppure mai mi sono annoiata, nemmeno una volta sono stata colta dalla tentazione di mollare il libro e passare ad altro.

Perchè anche non comprendendo tutto, il godimento di quello che riuscivo a capire mi ripagava ampiamente della fatica che in parecchi momenti questa lettura mi ha provocato.

La storia narrata ha per protagonista Fëdor Godunov-Cerdyncev, giovane émigré russo e si svolge interamente a Berlino in un arco temporale che va dal 1° aprile 1926 al 29 giugno 1929. Comprende cioè tre anni nella vita del giovane.

Berlino Potzdamer Platz
Berlino – Potsdamer Platz nel 1930

Ad un primo livello la storia racconta della vita di questo giovane, del suo amore (ricambiato) per Zina, dei suoi tentativi di scrivere una grande romanzo, della sua routine quotidiana divisa tra la camera d’affitto e la frequentazione degli ambienti dell’emigrazione russa composta principalmente di letterati o aspiranti tali, critici letterari, artisti in genere.

Berlino 1930
Berlino – Leipziger Strasse nel 1930

Nella narrazione Nabokov passa continuamente dalla prima alla terza persona, e la linerarità del tempo in cui si svolge la vicenda del romanzo è soltanto apparente perchè il flusso dei ricordi e delle fantasticherie di Godunov-Cerdyncev provoca continui salti temporali sia nel suo passato individuale che in quello collettivo della storia della letteratura russa e della stessa Russia.

Ma la struttura del romanzo è ben più complessa ed è difficile sintetizzarla qui. Accenno soltanto — per punti — agli elementi che a me sono sembrati più affascinanti.

La circolarità della struttura: il romanzo che noi stiamo leggendo e che ha per protagonista Fëdor Godunov-Cerdyncev è lo stesso che viene da lui scritto e, come dice la Vitale “è un continuum in cui la fine riporta ineluttabilmente all’inizio, è un libro e un processo infinito”

Il gioco senza fine delle rifrazioni narrative, delle simmetrie e dei “doppi” tanto numerosi che è impossibile elencarli. Solo qualche accenno: nel libro che leggiamo ci sono due libri: quello che Godunov-Cerdyncev vorrebbe scrivere sul padre (e che però non scrive) e quello che invece effettivamente scrive (e che è quello che stiamo leggendo), il doppio cognome del protagonista (in cui Godunov allude al personaggio storico nonchè protagonista del dramma teatrale di Puskin da cui fu poi tratta l’opera lirica di Modest Musorgskij), la coppia dei coniugi Cernysevskij dai nomi gemelli (Aleksandr Jakovlevic e Aleksandra Jakolevna) il cui cognome a sua volta è omonimo del Cernysevsij letterato russo autore del romanzo Che fare? su cui Godunov-Cerdyncev scrive il suo corrosivo pamphlet. E si potrebbe continuare con altre decine di esempi.

Ne cito solo un altro e basta: Sirin è un letterato di cui Godunov-Cerdyncev legge un libro, ma Sirin è anche lo pseudonimo con cui Nabokov firmava i suoi scritti russi, e lo stesso Il Dono venne pubblicato per la prima volta con lo pseudonimo di Sirin…

Tutto il gioco delle allusioni, delle citazioni a personaggi della letteratura russa (Puskin e Gogol innanzitutto, ma anche tanti altri non altrettanto noti in occidente)

Metafore e mimetismi che costituiscono una vera e propria giungla, un labirinto. D’altra parte, il mimetismo era un fenomeno che a Nabokov dava gli stessi piaceri non utilitari dell’arte.

Non sarei mai stata in grado di decrittare da sola senza l’aiuto della postfazione di Serena Vitale tutti gli accenni riguardanti personaggi reali contenuti nel romanzo. Come avrei potuto capire, infatti, a quali persone reali Nabokov fa riferimento quando descrive tutta la folla di personaggi scrittori ed appartenenti all’intelligencija émigré che brulica attorno a Godunov-Cerdyncev?

La difficoltà maggiore l’ho trovata però al Quarto capitolo. Quel famoso quarto capitolo — che era stato censurato perché ritenuto diffamatorio — in cui Godunov-Cerdyncev, l’alter ego di Nabokov, fa a pezzi il tanto osannato Cernysevskij.

Ammetto che per capirci qualcosa, di questo capitolo, ho dovuto fermarmi e mettermi a cercare di saperne di più, di questo Cernysevskij di cui avevo ricordi molto, troppo vaghi. E solo quando ho recuperato informazioni di base su di lui ho potuto davvero finalmente gustarmi il testo di Nabokov.

Cernysevskij (1828-1899) fu l’autore del romanzo Che fare?, testo cult del “luminoso futuro socialista “, osannato da Lenin che disse: “Questo romanzo ha arato la profondità del mio essere. È qualcosa che dà la carica per tutta la vita”. Cernysevskji è invece, per Godunov-Cerdyncev, una sorta di precursore della paccottiglia zdanovista e Nabokov, per questo, lo fustiga e lo mette alla berlina, riducendolo a — come scrive la Vitale — un “povero eroe gogoliano, a un Akakij Akakievic che fa “ridere fra le lacrime”

Naturalmente ci sarebbero tante altre cose da dire, su questo libro. Che contiene pagine esilaranti (una vera “allegra festa di lettura”). Che anche qui ci sono innumerevoli riferimenti autobiografici, all’infanzia in Russia, alla passione per le farfalle. Che anche qui un intero capitolo è dedicato alla figura del padre del protagonista: il libro che Godunov-Cerdyncev progetta di scrivere ma che non scriverà mai è, infatti, proprio dedicato al padre. E non riuscirà a scriverlo proprio perchè il grande amore per il padre gli impedisce di “dare forma di parole alla sua storia più struggente ed amata”.
Si potrebbe parlare del grande amore del protagonista per Zina dietro il quale si può intravedere l’amore di Vladimir per la moglie Véra e delle bellissime pagine su Berlino, città mai amata da Nabokov e che anche qui, come nei racconti, è quasi sempre presentata come grigia e piovosa, con le strade sempre lucide di pozzanghere.

Unter den Linden
Berlino – L’Unter den Linden nel 1930.
L’edificio sulla destra è la Staatbibliothek
frequentata spesso da Nabokov

Mi piacerebbe dilungarmi sulla poesia infantile che Godunov-Cerdyncev ricorda a proposito di un pallone. Un pallone perduto (nella prima strofa) e poi ritrovato (nell’ultima) con cui Nabokov strizza l’occhio a Proust, la cui opera sulla ricerca del tempo perduto inizia con la parola “Tempo” (“Per molto tempo mi sono coricato presto, la sera”) e termina dopo circa tremila pagine con la parola “tempo” (“…età così lontane l’una dall’altra, tra le quali tanti giorni sono venuti ad interporsi, — nel Tempo”).

Come Il Dono, anche Alla ricerca del tempo perduto di Proust è un libro rigorosamente circolare, senza inizio e soprattutto senza una fine, in cui noi lettori leggiamo il libro che il Narratore, e cioè protagonista del libro ha appena terminato di scrivere…

Spero che quello che ho scritto sin qui de Il Dono non scoraggi dal prendere in mano questo romanzo di Nabokov. Sarebbe un vero peccato, perchè anche se, come dicevo sin dall’inizio, non è certamente un libro semplice da leggere e richiede massima attenzione la fatica, alla fine, è ottimamente ricompensata.

È stato Nabokov a insegnarmi che la letteratura non è sempre facile. A volte per raggiungere la bellezza bisogna essere perseveranti.
Bernard Pivot (da La Repubblica del 7 giugno 2001)

Nella raccolta Una bellezza russa ed altri racconti c’è un racconto intitolato Il cerchio, scritto a Berlino nel 1937.
In una nota contenuta in appendice al volume, Nabokov scrive che si tratta di un brano originariamente pensato per Il dono ma che poi non venne inserito nella stesura definitiva del romanzo. Precisa anche, Nabokov, che sia il romanzo che il racconto possono esser letti indipendentemente l’uno dall’altro, ed effettivamente è così.

La cosa interessante, però, è che anche il racconto Il cerchio ha una struttura perfettamente circolare: infatti l’ultima frase , quella che dovrebbe “chiudere” il racconto in realtà precede, implicitamente, la prima (quella dell’incipit) e — scrive Nabokov “il cerchio descritto […] appartiene allo stesso genere — a mo’ di serpente che si morde la propria coda — a cui appartiene anche la struttura circolare di Dar

Autore: Gabrilu

https://nonsoloproust.wordpress.com

23 pensieri riguardo “IL DONO – VLADIMIR NABOKOV”

  1. Anche per me la lettura del Dono è stata un’esperienza affascinante. E’ un libro che non riesci a rimettere in uno scaffale in alto, poco accessibile, perchè poi ti viene di continuo la voglia di rileggere qualche passo. C’è tutto, ironia, scherno, citazioni ad ogni livello della letteratura russa del passato, amore, Berlino e Pietroburgo (che c’è sempre, in ogni caso).
    A me piaccioni i libri che alla fine lasciano il lettore con un certo senso di inadeguatezza, con un lieve sentimento di inappagamento, da recuperare con il tempo, e con una ulteriore lettura.
    Bartleboom

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  2. da Giuliano:
    Conosco dieci parole di russo e leggo un po’ l’alfabeto cirillico, e questo solo grazie al Boris Godunov di Mussorgskij…
    Trovo che il russo abbia una sonorità molto musicale, mi sarebbe piaciuto impararlo.

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  3. Bartleboom
    Guarda, non mi dire niente: io sono qui che non riesco a sistemare i libri di N. ma mano che li leggo. Più procedo e più devo tornare indietro, andare a ripescare pagine di altri volumi, scartabellare, rileggere quello che già ho letto… Li ho tutti sparpagliati in giro…
    Però tutto questo mi piace, eccome se mi piace ^__^

    Giuliano
    Anch’io quattro parole in croce di russo le ho memorizzate dai miei CD cantanti in russo dell’Eugene Oneghin (adoro — come tutti credo “L’aria di Tatiana”) e da La dama di picche di Čajkovskij.
    Il mio modo molto trasversale di conoscere Puskin 😉
    E poi, certo, il Boris, la Kovancina

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  4. Cara Gabriella, l’Onegin è un miracolo; e io che me lo stavo dimenticando!
    E’ tutto magnifico, ma il momento prima del duello, con l’aria di Lenski, ha un’atmosfera particolare. Sembra che il tempo si fermi.

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  5. negli anni ’70 la Rai produsse uno sceneggiato ispirato al “Che fare?” di Cernysevskij. Allora ero un ragazzino e ne fui affascinato; qualche anno dopo lessi il libro, letterariamente parlando piuttosto improbabile ma certamente un libro politicamente importante per i giovani della sua epoca (oggi è ricordato infatti solo per il giudizio di Lenin, che ne uso il titolo per un suo libello). Mi ricordo che alla lettura non vi ritrovai l’impressione di grande libertà nelle relazioni umane e nei costumi, di passione, entusiasmo giovanile che mi aveva lasciato lo sceneggiato. Probabilmente quell’aria prerivoluzionaria dell’inizio novecento era inattingibile ormai dalle pagine di un libro artisticamente scadente, ed era stata ricreata “in vitro” dagli sceneggiatori, che vivevano a loro volta in un periodo altrettanto turbolento e pieno di speranze.
    In fondo non mi stupisce che Nabokov, artista infinitamente superiore a Cernysevskij, ma esiliato da quel paese delle speranze tradite, potesse pensarne così male.

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  6. b.georg
    è vero, è vero, ora che me lo dici credo di ricordare qualcosa anch’io, dello sceneggiato di cui parli…
    Dal tuo commento non capisco se lo hai letto oppure no, Il Dono: Nabokov ne fa davvero polpette, di Cernysevskij e del suo libro. Solo che, come ho detto nel post, per apprezzare (nel senso di comprendere) l’operazione che fa è necessario avere un minimo di conoscenza del personaggio, del contesto storico e del testo di riferimento. Tutte cose che io ho dovuto recuperare dalle nebbie più fitte 🙂
    Ciao e grazie

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  7. È quasi un anno e mezzo che ho questo libro tra le mani e sono quasi a 3/4 dal terminarlo: in mezzo ci sono state molte pause per impegni e altro. È un libro difficile, ma adoro Nabokov, il suo modo di scrivere, e non riesco a tradirlo. Grazie per questo post, grazie per aver condiviso le tue informazioni/impressioni.

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  8. anonimo #8
    Ti capisco, come ho scritto non è un libro facile. Riprendilo in mano quando ne avrai davvero voglia. C’è sempre un momento giusto, per i libri degli autori che fondamentalmente ci piacciono.
    Ciao e grazie a te 🙂

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  9. Ciao a tutti. Devo dire che nonostante abbia messo in campo tutte le tecniche dilatorie di cui dispongo come lettore, nella speranza di rinviare quanto più possibile il momento in cui terminerò di leggere questo libro, sono a una ventina di pagine dalla conclusione. Una bellezza abbacinante. Una struttura potente, convincente. Un linguaggio di una prensilità senza eguali, sostantivi e aggettivi accostati senza mai un automatismo, una sorpresa a ogni frase. Si candida ad essere uno dei miei romanzi preferiti in assoluto. Anche se conosco poco della letteratura russa, non ho ancora letto l’Onegin e non ho intenzione di leggere Cernisevskij. Spero vivamente che quante più persone leggano e apprezzino questo meraviglioso Dono.

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  10. ho appena spizzicato le prime pagine di qesto libro,ha uno stile particolrissimo che mi ha un pò “impaurito”,cmq i tuoi commenti mi incuriosiscono e non esiterò ad avventurarmi,perciò grazie della spintarella

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  11. Ho a lungo cercato di capire se ci fosse un nucleo nascosto nel dono, al di là di tutti i riferimenti letterari e della sottile trama circolare nabokoviana (personaggi doppi, libri scritti e non scritti, cerchi nei cerchi nei cerchi…)

    Il fatto è questo: o c’è un contenuto profondo e fondamentale di cui tutti questi ghirigori sono un abbellimento, o sono i ghirigori stessi, puro gioco intellettuale ed estetico, l’essenza del romanzo

    Ma non appena vi sbilanciate in favore di una delle due possibilità, vedete subito, senza possibilità di errore, che è invece l’altra ad essere vera.

    Perché l’arte cessa di essere reale nel momento esatto in cui assume la forma concreta di un quadro, o di una poesia, o di un romanzo

    E proprio quando un critico superficiale sta per affermare che Nabokov odiava Cernysevskij, ecco che tra una pagina e l’altra spunta inattesa una lacrima gogoliana

    (by adriano)

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  12. Adriano
    Tutti i lettori di N. (parlo di quelli attenti, eh, chè gli altri non mi interessano) queste domande prima o poi, su questo o quell’altro suo libro arriva il momento se le pongono/ce le poniamo.

    La risposta la fornisce lo stesso Nabokov , e ripetutamente, sia nelle meravigliose prefazioni dei suoi romanzi sia nelle sue interviste.

    Però io questa volta voglio solo scodellare la mia banalità del giorno:
    e cioè che N. per me è uno di quegli scrittori miracolosi in cui davvero la forma è la sostanza e viceversa.
    (Sono stata abbastanza banale? 😉

    Ciao e grazie 🙂

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  13. Claude
    I miei limiti e la mia inadeguatezza nel cogliere tutte le sfumature de “Il dono” li ho scritti, nel post, ma se quel poco che ho scritto è servito a far venir voglia a qualcun altro di leggere quella che è considerata una delle opere più importanti di Nabokov, allora non mi vergogno di dire che sono proprio fiera di me! 🙂
    Mi farebbe molto piacere se poi, a lettura ultimata, tornassi a dirci le tue impressioni.
    Ciao e grazie 🙂

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  14. Ho appena terminato l’ultima pagina de “Il dono” con un senso di inadeguatezza e frustrazione (pur ammirandone il contenuto; vero capolavoro). Fortunatamente ho trovato questo commento che sebbene scritto dieci anni fa, mi ha ridato un pò di serenità…
    Il dono è da consigliare, ma che fatica! Almeno per me

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    1. Andreina
      Eh, si, Il dono lascia inevitabilmente, io credo, in noi lettori comuni che non abbiano una specifica dettagliata conoscenza di una certa letteratura russa dalle nostre parti pressocchè sconosciuta se non per gli addetti ai lavori, un senso di “inadeguatezza e frustrazione”. Benedico dunque ancora — ripeto quello che avevo già scritto nel post — il testo di accompagnamento di Serena Vitale, senza l’ausilio del quale io mi sarei persa per strada, nel corso della lettura, molto ma molto di più di quanto comunque ho la consapevolezza di essermi persa.
      Grazie per la visita ed il commento

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