
Corea del Nord
” Padre Nostro, non abbiamo nulla da invidiare al mondo. La nostra casa è nell’abbraccio del Partito dei lavoratori. Siamo tutti fratelli e sorelle. Anche se un mare di fuoco ci assale, i dolci bambini non devono avere paura. Nostro padre è qui. Non abbiamo nulla da invidiare.”
Il testo di questa canzone molto popolare nella Corea del Nord è tratto da un libro che ho letto in questi giorni e di cui voglio parlare oggi — nonostante sia stato pubblicato nel 2010 e dunque non sia recentissimo — perchè anche tenendo conto del fatto che molti articoli, reportages, documentari cerchino da anni di fare luce sulla difficile realtà di uno degli ultimi (ultimi? almeno io così spero) regimi totalitari del pianeta traccia un quadro di questo paese che la follia dei suoi dirigenti (Kim II – Sun e suo figlio Kim Jong II) hanno precipitato nel caos che mi ha parecchio colpita.

Barbara DEMICK
Per mano nel buio (tit. orig. Nothing to envy. Real lives in North Korea)
trad. V. Ricci, 413 p., Piemme, 2010
Ancora una volta — come purtroppo sempre più spesso accade in Italia con i libri stranieri — il titolo originale Nothing to envy. Real lives in North Korea, nella edizione italiana è stato stravolto ed è diventato Per mano nel buio. L’autrice, Barbara Demick, è una giornalista americana corrispondente per l’Asia del Los Angeles Times.

Corrispondente del Los Angeles Times a Seul (Corea del Sud) e poi a Pechino, nel 2001 Barbara Demick venne incaricata dal suo giornale di occuparsi di entrambe le Coree. Dovette però immediatamente constatare che, per quanto riguardava la Corea del Nord, anche dopo essere riuscita ad entrare nel paese, svolgere il suo lavoro era praticamente impossibile: “Ai giornalisti occidentali venivano assegnati dei “sorveglianti”, con il compito di assicurarsi che i visitatori non avessero conversazioni non autorizzate e si attenessero a un rigido itinerario tra monumenti attentamente selezionati”
Inizia allora, in Corea del Sud, a parlare con profughi nordcoreani fuggiti lì o in Cina, ed è da questi colloqui-interviste che nasce e prende corpo il libro. Sette anni di conversazioni da cui emerge uno scenario desolante e drammatico: propaganda martellante, censura, arbitrio, carestie a ripetizione, fallimento totale dell’economia, del sistema scolastico…Una tragedia umana di cui l’opinione pubblica occidentale conosce praticamente nulla.
Il libro si basa sui racconti e le testimonianze di sei persone , sei destini individuali; sei coreani del Nord “gente comune” riusciti a fuggire e a rifugiarsi nella Corea del Sud dove vivono ormai da una decina d’anni. Da queste storie individuali viene fuori prima il racconto della vita “normale” sotto Kim Il-Sung, poi la vita durante la terribile carestia del 1994-1998 ed infine la loro decisione di fuggire nella Corea del Sud. Un racconto che, con una grande ricchezza di particolari agghiaccianti, descrive la lotta per la semplice sopravvivenza cui sono sempre costretti i Nordcoreani.
“Ai sei nordcoreani di cui ho raccontato le vicende va la mia gratitudine più profonda; mi hanno generosamente concesso il loro tempo, sopportando domande indiscrete e rivivendo ricordi dolorosi al solo scopo di aiutare me e i miei lettori a comprendere il loro mondo.”
Chi sono i sei nordcoreani?
Jun-san e Mi-ran (una coppia di adolescenti innamorati che possono incontrarsi solo in segreto, e solo quando fa buio (ecco spiegato il titolo italiano), ma anche la Signora Song, incrollabilmente fedele al regime e in seguito completamente “convertita” al modello occidentale, sua figlia Oak-hee, la “ribelle” che è infine riuscita a portare la madre dalla sua parte, la Dottoressa Kim, anch’ella una “fedelissima”, che solo nell’espatriare ha capito fino in fondo quanto il suo Paese l’avesse tradita, e il ragazzino Hyuck, un “kochebi“, una “rondine vagabonda”, un orfano senza appartenenza e senza destino che è riuscito a rifarsi una vita solo approdando nella Corea del Sud.
Diversissimi l’uno dall’altro, accomunati solo dalla fame e dalla lotta per la sopravvivenza che si fa di giorno in giorno più disperata, per tutti alla fine scatta, anche se in momenti e con modalità diverse, la disperata e irrevocabile decisione di fuggire, anche a rischio della propria vita (e in questo caso non è certo solo un modo di dire).

Non è stato per niente facile, per loro. Un intero interessantissimo capitolo viene dedicato, dalla Demick, proprio ai problemi ed alle difficoltà incontrate dai profughi per inserirsi ed integrarsi nella società della Corea del Sud. Sebbene accolti e ben sostenuti dalle istituzioni governative, le difficoltà consistevano soprattutto nel fatto che il Paese in cui erano vissuti, la Corea del Nord, era rimasta tecnologicamente, culturalmente, economicamente indietro di quarant’anni rispetto alla Corea del Sud.
La laurea posseduta da alcuni di loro (ad esempio quella in medicina della Dottoressa Kim, professionista, oltretutto, di pluriennale esperienza) non solo non era riconosciuta valida dall’ordinamento locale, ma le stesse conoscenze e competenze manuali e pratiche risultavano obsolete e perciò quasi del tutto inutilizzabili, nel nuovo paese. Il giovane Jung-San, brillante studente di Ingegneria che era stato ammesso alla prestigiosa Università di Pyongyang capitale della Corea del Nord e che dunque faceva parte dell’intelligentia del suo paese ed appartenente ad una élite privilegiata, a Seul si rende conto che tutto quello che ha imparato è ormai abbondantemente superato e non serve a nulla (” Eccolo lì, un laureato di una delle migliori università del suo paese, anzi uno dei nordcoreani più esperti di computer, con le conoscenze di un bambino “. Tutti devono ricominciare tutto daccapo: soprattutto ricominciare a studiare.

Niente da invidiare (scusate, ma preferisco fare riferimento al titolo originale) è un libro di un genere ibrido (lo dico non in senso negativo) che è a metà strada tra l’opera narrativa e la ricerca storica; un libro non solo interessante e commovente ma anche illuminante perchè racconta quel genere di storie che in genere non circolano sui media.
Per quanto mi riguarda, alcune conoscenze di base sulla vita nella Corea del Nord le avevo, ma molto superficiali, come d’altronde credo le abbiamo tutti: niente Internet, non abbastanza cibo, niente televisione o radio all’infuori dei canali governativi, niente elettricità e soprattutto… divieto assoluto di rivolgere la benchè minima critica al Caro Leader. Conoscevo solo molto vagamente la storia della Corea, della sua divisione, e praticamente nulla sulla vita di ogni giorno della gente comune della Corea del Nord. Questo libro mi ha aiutata molto.
Mette a fuoco particolari della vita quotidiana della gente comune che il regime cerca con qualunque mezzo di tenere nascosti. Non è facile dimenticare le storie di questi nordcoreani che hanno rischiato tutto (anche la vita) pur di ricominciare e rifarsi una vita nel mondo libero. Il prezzo pagato risulta a volte altissimo, come nel caso di Mi-ran e di sua madre, che avendo dovuto abbandonare nella Corea del Nord le due sorelle di Mi-ran sono certe che il regime le abbia catturate e mandate in un campo di lavoro (da cui difficilmente si esce vivi) per far pagare ad esse la fuga della sorella e della madre. Un senso di colpa che accompagna ogni giorno ed ogni ora della nuova vita delle due donne nel loro nuovo paese.
Barbara Demick ha il merito di dare un volto, dei sentimenti ad un popolo spesso ridotto a una massa indifferenziata e passiva. Si basa — non potendo fare altrimenti — sulla storia orale praticamente la sola a nostra disposizione per riuscire ad intravedere la situazione di quel paese. Ma certamente questo pone alcuni limiti: il carattere parcellizzato delle testimonianze. L’autrice ne è consapevole, e scrive:
“Ho cercato per quanto potevo di documentare le vicende che mi sono state narrate e di metterle in relazione con fatti di pubblico dominio. Le descrizioni di luoghi che non ho mai visto di persona sono state ricavate dalle testimonianze dei profughi, da fotografie e filmati. Tanti aspetti della Corea del Nord rimangono così impenetrabili che sarebbe una follia pretendere di aver capito tutto fino in fondo. La mia speranza è che un giorno la Corea del Nord apra i suoi confini, permettendoci così di giudicare da soli quello che è realmente accaduto laggiù.”
Lo stile narrativo dà al libro un tono romanzesco che lo rende una lettura scorrevole ed avvincente, anche se l’intento (legittimo) di rendere la lettura accattivante può confondere un poco il lettore, che a volte si chiede che cosa deriva direttamente dal vissuto dei rifugiati e che cosa possa invece derivare da altre fonti di informazione.
In ogni caso, a me sembra che questo libro, al quale è stato assegnato il Premio Samuel Johnson 2010, uno dei più prestigiosi premi anglosassoni, meriti senz’altro di essere letto.
A proposito. Scorrendo sulla pagina del The Samuel Johnson Prize for Non-Fiction la lista dei vincitori anno per anno ho trovato, per il 2004, che il premio era stato assegnato a quel Stasiland: Stories from Behind the Berlin Wall di Anna Funder, pubblicato in italiano con il titolo C’era una volta la DDR, di cui ho parlato in questo post.



- Il sito di Nothing to envy >>
- La scheda del libro in italiano >>
- Sul sito del Corriere della Sera una serie di foto scattate nel 2006 in cui il fotografo tedesco Dieter Leistner mette a confronto scene di vita quotidiana a Seul (Corea del Sud) e a Pyongyang (Corea del Nord) >>
Poichè il libro risulta difficile da reperire ho pensato di mettere a disposizione la versione digitalizzata che è possibile scaricare in formato .epub (408 kb) oppure in formato .pdf (759 kb)
Lo leggerò senz’altro, Gabrilù!
P.S. Quanto mi piacciono le tue recensioni!
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@frine
mi fai arrossire! 🙂
(e cmq se lo leggi, poi dicci che cosa ne pensi)
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Mi ci voleva proprio ! Io che sono curiosa.. Certo il titolo tradotto e letto in fretta forse mi avrebbe fatto passare oltre . Grazie per la preziosa recensione
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@nicole
sempre bello ritrovarti! 🙂
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Cara Gabrilù,
perchè recensire un libro fuori catalogo e quindi introvabile?
La voglia di leggerlo è tanta,ma come faccio?
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@Roberta
capisco, ma se parlo spesso (anche) di libri fuori catalogo è anche perchè mi illudo che parlandone prima o poi, chissà, vengano ripubblicati.
In ogni caso in rete, cercando, questo lo si trova in versione digitale: io l’ho trovato in .pdf, l’ho convertito in ePub e letto con il Kobo…
Ciao!
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