A TORTO O A RAGIONE – ISTVÁN SZABÓ (2002)

Harvey Keitel Stellan Skarsgard
Stellan Skarsgård (Wilhelm Furtwängler) ed Harvey Keitel (Maggiore Steve Arnold)

Con A torto o a ragione del 2002 il regista ungherese István Szabó riprende una volta ancora il tema del rapporto tra arte e politica e della responsabilità etica dell’artista.

Dopo l’attore tedesco Hofgen interpretato da Karl Maria Brandauer, protagonista del film Mephisto del 1981 del quale ho parlato >>> qui, con questo A torto o a ragione presentato al Festival di Berlino del 2002 come “evento speciale” è il turno di Wilhelm Furtwängler, il famoso direttore d’orchestra — sempre tedesco — che nella Germania nazista degli anni ’30 e ’40 fu molto amato da Hitler.

Anche in questo caso dunque il personaggio del protagonista è realmente esistito ed anche in questo caso la fonte è letteraria: narrativa per Mephisto (che era tratto da un celebre romanzo di Klaus Mann) e teatrale per A torto o a ragione, tratto dalla pièce Taking sides di Ronald Harwood (che è anche lo sceneggiatore del film), andata in scena a Londra nel 1995 con la regia di Harold Pinter.

M’è venuta fuori — mi sono resa conto — una cosina un po’ troppo lunghetta.

Ma, come al solito, mi consolo pensando che nessuno è obbligato a leggerlo, quello che scrivo.

I titoli di testa  scorrono sulle note della Quinta Sinfonia di Beethoven.

Il film si apre con una bellissima, suggestiva sequenza in cui il grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler (Stellan Skarsgård) dirige l’ennesimo concerto davanti a una folla di gerarchi nazisti.

A torto o a ragione

La seconda guerra mondiale sta finendo, la Germania è ormai a due passi dalla sconfitta. Fuori dal teatro cadono le bombe, l’erogazione dell’energia elettrica si interrompe.

L’orchestra dei Berliner Philarmoniker continua però a suonare.

Agli orchestrali che la compongono è sufficiente la luce delle candele per seguire la bacchetta e gli occhi magnetici del loro Maestro, considerato il più grande Direttore del mondo.

Stellan Skarsgard

Alla fine del conflitto, però, il Comitato Americano per la Denazificazione decide di interrogare il grande direttore sui motivi per i quali non lasciò la Germania quando Hitler salì al potere e perchè spieghi i suoi più che ambigui rapporti con il Reich.

Qual’è il vero obiettivo degli americani? Compiere un arresto eccellente da proporre come emblema/esempio contro tutti i nazisti.

Smascherare la connivenza di Furtwängler col regime, esibirlo come trofeo di Denazificazione.

Il compito di istruire il procedimento nei confronti di Furtwängler, il più grande direttore del tempo, ma anche il direttore preferito di Hitler, viene affidato al maggiore americano Steve Arnold (Harvey Keitel).

Prima di cominciare, il suo superiore gli fa visionare decine e decine di filmati: dalle parate naziste con folle plaudenti a quelli tremendi dei massacri e di ciò che gli Alleati hanno trovato nei campi di sterminio (“Non avere fretta, c’è molto materiale, che devi ancora vedere”, gli dice).

Harvey Keitel

“Vuoi sapere che penso? Che erano tutti nazisti. Quei bastardi che sono sotto processo a Norimberga non possono aver fatto tutto da soli. Se fosse per me li processerei tutti. Ma è impossibile, sono troppi. Bisogna scegliere i più significativi.
Furtwängler si è venduto l’anima al diavolo. Devi trovare e provare i suoi legami con i nazisti. Non farti impressionare da lui. Voglio che la gente capisca perchè abbiamo combattuto questa guerra.
Dimostrami che Furtwängler è colpevole. Lui rappresenta il marcio di questa Germania”

Il Comitato ha scelto bene il suo uomo.

Chi è il Maggiore Arnold?

Nella vita fa l’assicuratore. E’ un temperamento sanguigno, un uomo scaltro e un po’ meschino, piuttosto rozzo ed ignorante.

Impermeabile alla musica classica — che non capisce e forse proprio perchè non la capisce la odia — non si farà certo sedurre dalla grandezza del Maestro.

Harvey Keitel

Ancora prima di cominciare gli arrivano da ogni parte grandi attestazioni di stima e ammirazione per la statura artistica del Maestro.

Subisce forti pressioni da parte dei Sovietici: il colonnello russo Dymshitz (Oleg Tabakov), Capo Dipartimento Arte Storica del Museo di Leningrado, grande esperto di arte tedesca, insiste a lungo perchè le accuse contro Furtwängler vengano fatte cadere e perchè il Maestro possa riprendere in pieno la propria attività.

Harvey Keitel Oleg Tabakov

“Lo voglio. Le chiedo di rinunciare alla sua indagine. Risparmierà tempo e rogne a tutti noi. In cambio vi darò un altro direttore, un compositore, quello che vi pare. Ma io voglio Furtwängler. E’ il mio direttore preferito”.

In realtà, come verrà fuori durante un drammatico colloquio a quattr’occhi tra Arnold e Dymshitz, è Stalin che vuole il direttore tedesco e lui, Dymshitz, non può che obbedire e fare di tutto per accontentarlo.

Di fronte al rifiuto di Arnold, il russo, che vive lui stesso sotto una dittatura da cui molto ha ottenuto (la direzione del Museo di Leningrado) ma con cui si è dovuto molto compromettere, è disperato.
Sa bene infatti, lui, quanto caro può costare non esaudire il desiderio di un dittatore.

“Non capisci che così mi ammazzi”.

 

Ma Arnold non ascolta niente e nessuno, tira dritto e mira al sodo: inchiodare Furtwängler.

Il Maggiore viene aiutato nelle indagini dal tenente David Willis (Moritz Bleibtreu), un giovane ebreo emigrato in America i cui genitori non sono riusciti a lasciare in tempo la Germania e sono stati trucidati dai nazisti

Harvey Keitel Moritz Bleibtreu

Come segretaria gli è stata assegnata Emmi Straube (Birgit Minichmayr), deportata nei campi di concentramento a seguito della partecipazione del padre al famoso fallito attentato contro Hitler.

Birgit Minichmayr

La strategia del Maggiore Arnold nel corso degli interrogatori è quella di non tener assolutamente conto della grandezza artistica dell’inquisito, non tener conto delle numerose testimonianze secondo le quali Furtwängler, che pure era noto per i suoi atteggiamenti antisemiti, si era di fatto adoperato per salvare la vita a molti ebrei.

A torto o a ragione - SzaboA torto o a ragione - Szabo

Arnold-Keitel incalza il Direttore con lo scopo di fare emergere le sue bassezze umane, i privilegi di cui egli, a differenza della maggior parte degli altri artisti tedeschi ha potuto godere (direttore preferito di Hitler, veniva agevolato e protetto in tutti i modi dagli alti gerarchi nazisti) le sue meschinità sia pubbliche che strettamente private: le sue donne, la sua attività sessuale, i figli illegittimi…

Il linguaggio di Arnold diventa via via sempre più sprezzante, violento ed addirittura scurrile.

Le prova tutte, per mettere Il Grande Direttore di fronte a quella che lui ritiene la grande responsabilità dell’ uomo Furtwängler: Harvey Keitel

“…perchè rimase in Germania nonostante gli orrori del regime fossero sempre più evidenti?

Perchè non cercò di emigrare all’estero come Bruno Walter, Otto Klemperer, Arnold Schoemberg, l’italiano Arturo Toscanini?

Come poteva dirigere concerti alla presenza di Hitler e dei gerarchi nazisti?

… Ha mai sentito il puzzo della carne bruciata? Io lo sentivo da quattro miglia di distanza! Le ha mai viste le camere a gas? I forni crematori?

… E mi viene a parlare di arte e di musica..! E’ questo che mette sulla bilancia, Furtwängler?!…

Lo sa perchè quando morì Hitler alla radio tedesca mandarono in onda la sua interpretazione dell’Adagio di Bruckner? Perchè lei rappresentava il massimo possibile.
E quando il diavolo crepò, volle che fosse il suo grande direttore a condurre la marcia funebre.
Lei per lui era tutto “

Per mettere alle corde Furtwängler, Arnold lo provoca su quello che — come ha saputo da uno degli orchestrali dei Berliner — era per Furtwängler un nervo sempre scoperto, e cioè la paura del Maestro di venire superato dall’allora giovane astro emergente direttore Herbert von Karajan.

La paura di perdere il primato di miglior direttore d’orchestra del mondo, di lasciar libero il campo a von Karajan, di vedere assegnata a lui la direzione dei Berliner è stata, secondo Arnold, un aspetto fondamentale della ragione per cui egli è rimasto in patria.

L’avversione del Maestro per von Karajan era tale da non riuscire non solo a pronunciarne neppure il nome (anche adesso, Furtwängler non riesce a nominarlo se non come “K”), ma si dice addirittura che abbia chiesto ed ottenuto la partenza per il fronte russo di un critico che in una recensione aveva osato preferire a lui, il grande Furtwängler, “il piccolo K.”…

Sono accuse fondate o solo infamanti?

Tramite la raccolta di documenti dall’archivio, le diverse prove testimoniali, emergono le due diverse facce del direttore durante il regime: vero che Furtwängler salvò molti musicisti ebrei ma, contemporaneamente, appare chiaro che fu una figura autorevole nell’ambito della cultura nazista.

Lo scontro tra Arnold e Furtwangler si fa sempre più aspro, l’inflessibilità trasforma il Maggiore Arnold in un aguzzino.

Al punto tale che sia il Tenente Willis che Emmi Straube, che pure per le loro storie personali avrebbero tutti i motivi per sostenere Arnold, di fatto si dissociano da lui, prendendo le parti del Maestro.

Moritz Bleibtreu

Ad Arnold che furibondo urla a Willis:

“ma come può, lei, un ebreo… pensi ai suoi genitori, ammazzati da questi bastardi…Qual’è il suo segreto, com’è che sono tutti pazzi di lui?”

Willis risponde

“Ho ascoltato per la prima volta Beethoven da bambino diretto da Furtwängler e da allora l’ho sempre amato. E’ lui che mi ha fatto scoprire la grande musica. Gliene sarò sempre riconoscente”

Birgit Minichmayr

Emmi non sopporta più i modi del Maggiore e decide di andarsene:

“Il suo modo di interrogare il Maestro mi ricorda i modi con cui la Gestapo ha interrogato me...”.

E’ solo con grande difficoltà che Arnold la convince a rimanere, ma sa bene che ormai è solo, a condurre la sua guerra contro Furtwängler.

Nel film di Szabó il drammatico confronto tra il personaggio di Furtwängler e quello del Maggiore Arnold è uno scontro di titani in cui è impossibile prendere una volta e per tutte le parti dell’uno o dell’altro: opposti per principi e cultura i due uomini non riescono a comprendere altro che le proprie motivazioni.

“Lei non capisce” ed “Io non capisco” sono due frasi che Arnold e Furtwängler pronunciano, urlano, si rimbalzano, si scambiano, ora l’uno ora l’altro. Se le urlano o se le sussurrano continuamente.

Capire/non capire/non potere/non voler capire “le ragioni dell’Altro”.
E’ questa, a mio parere, la profonda chiave di lettura di questa film.

In effetti, la polarità dei due personaggi rappresenta la polarità di due universi culturali opposti in cui torto e ragione cambiano continuamente di posto, in cui è difficile stare dall’inizio alla fine dalla parte dell’uno o dell’altro, in cui è difficile scegliere tra inquisitore ed inquisito.

Più proseguivo nella visione del film, più mi dimenticavo del Maggiore Arnold e di Furtwängler.

Assistevo allo scontro tra la Prassi e l’Idea, tra Pragmatismo ed Idealismo… Ed era soprattutto questo, che mi interessava, del film. Il fatto che nei deuteragonisti le due polarità erano eccezionalmente incarnate ed “agite”, grazie alla bravura dei due attori principali.

…Ma torniamo al film.

Arnold non crede nell’arte, anzi ne è infastidito.

Il pensiero che per dovere professionale gli tocca (a lui, cui piace tanto il Boogie Woogie) ascoltare musica classica, visto che il suo inquisito è un direttore d’orchestra, lo fa sbuffare.

Mai potrà riuscire a comprendere le ragioni di Furtwängler, il quale cerca in tutti i modi di far capire che anche dirigendo una sinfonia di Beethoven ci si sta ribellando all’ideale nazista.

Arnold vede (solo ?) il “mondo umano” che lo circonda, fatto di degradazione e di dolore.

Questo fa crescere tanto la sua rabbia da far sì che ad un certo punto si metta a urlare a Furtwängler:

Harvey Keitel
“Lei, fottuto pezzo di merda e coglione!”

 

Dall’altra parte, il Maestro non ha in mente altro che l’Arte, la musica.

La sua difesa sta tutta nella frase: “Io credo nella musica ed amo il mio Paese, che dovevo fare?” ed ad Arnold che gli ringhia: “Guardarsi intorno” non sa opporre che un “Ma può davvero credere che l’unica realtà sia quella materiale? Così non rimarrebbe nulla, solo sporcizia”.

Difficile immaginare due universi mentali più distanti.

L’ignoranza di Arnold — e non solo in materia musicale — la sua condizione di vincitore lo conducono al fatale errore di una cieca arroganza, che gli impedirà di capire una realtà nazionale in cui l’arte è parte preponderante della vita di tutti, e l’ammirazione nei confronti dei suoi esecutori può trascendere persino l’attività politica.

Nemmeno Furtwängler ne esce bene, però.

L’essere messo così brutalmente di fronte a domande ormai ineludibili, l’essere costretto a confrontarsi con la ragionevolezza, la giustizia, la dimensione concretamente “umana” degli orrori su cui Furtwängler per troppo tempo ha chiuso gli occhi in nome di una superiorità dell’arte sulla vita, incrinano e a poco a poco smantellano l’atteggiamento disinvolto e supponente con cui all’inizio il Maestro si era presentato all’istruttoria, certo com’era che la sua grandezza artistica lo poneva al di sopra di qualunque giudizio etico-politico.

Stellan Skarsgård

Arnold, con i suoi metodi, la sua rozzezza, la sua ignoranza, la sua ottusità artistica ma anche con il sincero orrore per gli orrori commessi dai nazisti, nonostante tutto riesce alla fine a far almeno sorgere in Furtwängler il dubbio che, per dire di avere contrastato il nazismo, non basta essersi limitato ad alzare la bacchetta per non fare il saluto al Furhrer, e non basta aver salvato la vita a qualche musicista ebreo.

Furtwängler si rende conto che la sua celebrità, la sua fama a livello mondiale è stata resa possibile solo per aver accettato il Patto con il Diavolo, che lo ha aiutato, favorito, protetto.

Tra le macerie e i morsi della fame i tedeschi continuano ad ascoltare musica, ed Arnold urla in faccia a Furtwängler:

“Io non lo capisco il rapporto dei tedeschi con la musica! Perchè ne avete tanto bisogno?”

Lo capisce bene invece il suo assistente, il tenente Willis.

Al termine dell’ultimo interrogatorio, mentre Furtwängler scende le scale e mentre Arnold sbraita al telefono comunicando compiaciuto al suo superiore di avere incastrato il direttore, Willis mette a tutto volume il disco della Quinta di Beethoven diretta dal Maestro, ed apre la finestra perchè lui, scendendo, possa ascoltarla.

Furtwängler si arresta un attimo, riconosce la “sua” musica, guarda in alto perplesso.

Scuote la testa e prosegue.

A torto o a ragione
A torto o a ragione

La musica di Beethoven continua a risuonare mentre ascoltiamo la voce fuori campo del Maggiore Arnold:

“Non fui capace di inchiodarlo, ma di sicuro riuscii a ferirlo. So di avere fatto la cosa giusta.
Il “piccolo K.” fu più furbo, ne venne fuori profumato di rose. Diciamo che fu fortunato a non incontrarmi”

La vicenda riguarda quella realmente accaduta di Wilhelm Furtwängler, nome notissimo a tutti gli appassionati di musica classica perchè uno dei più grandi direttori d’orchestra dello scorso secolo e compositore.
Furtwängler decise di rimanere in Germania dopo l’avvento del nazismo quando altri artisti, e non solo di religione ebraica, partivano autoesiliandosi spesso per non fare più ritorno e di aver evitato così di prendere una posizione netta nei confronti della dittatura.

Questa scelta gli costò molto cara: nonostante l’ assoluzione dall’accusa di sostenitore del regime nazista, l’opinione pubblica, soprattutto quella americana, non seppe mai perdonarlo. Due volte, nel 1936 e nel 1949, gli fu negato il ruolo di direttore rispettivamente della Filarmonica di New York e dell’Orchestra Sinfonica di Chicago.

István Szabó chiude il suo film con un filmato di repertorio in cui si vede Furtwängler che, dopo aver stretto la mano a Goebbels, passa dalla mano sinistra alla destra un fazzoletto.

Lo fa per pulirsi la mano che ha toccato Goebbels? O per trovare uno stratagemma per non fare il saluto nazista?
O, semplicemente, per asciugarsi le mani sudate?

Ambiguità delle immagini.

Wilhelm FurtwanglerWilhelm FurtwanglerWilhelm Furtwangler

Taking sides, 2002, regia: István Szabó, sceneggiatura: Ronald Harwood
Principali interpreti e personaggi: Harvey Keitel (Maggiore Steve Arnold), Stellan Skarsgård (Dr. Wilhelm Furtwängler), Moritz Bleibtreu (Tenente David Willis), Oleg Tabakov (Colonnello Dymshitz), Ulrich Tukur (Helmuth Alfred Rode), Birgit Minichmayr (Emmi Straube).
Fotografia: Lajos Koltai, montaggio: Sylvie Landra, scenografia: Bernhard Henrich, costumi: Györgyi Szakács.
Musiche di Ludwig van Beethoven (1° e 4° movimento dalla Sinfonia n.5 in Do Minore, op.67), Franz Schubert (2° movim. dal Quartetto d’archi in Do Maggiore, D.956, op. 163), Anton Bruckner (2° movim. dalla Sinfonia n.7 in Mi Maggiore)
Musiche dirette da Daniel Baremboim (nuove registrazioni) e Wilhelm Furtwängler (registrazioni originali)
Germania, Francia, durata 105 min., colore

Wilhelm Furthwangler

Su YouTube è possibile vedere il filmato d’epoca con il finale del concerto diretto da Wilhelm Furtwängler il 19 aprile del 1942 in occasione del compleanno di Hitler e la stretta di mano di Goebbels al termine dell’esecuzione della Sinfonia n.9 di Beethoven >>> qui

Autore: Gabrilu

https://nonsoloproust.wordpress.com

6 pensieri riguardo “A TORTO O A RAGIONE – ISTVÁN SZABÓ (2002)”

  1. Furtwängler è uno dei classici esempi di uomini tanto fortemente attaccati alla loro “professione”, da metterla al di sopra di qualunque valore.
    La sua auto-difesa è patetica: propinare una grande arte ai suoi concittadini non solo non serviva a svegliarli dal collettivo intontimento in cui il regime li aveva gettati, ma anzi li convinceva sempre più che quel regime, se contemplava un Furtwängler (nella stessa terra che aveva prodotto un Beethoven) era di sicuro il migliore in assoluto.
    E del resto basta ascoltare, per far un esempio, la sua quinta del 1943 e confrontarla con registrazioni successive alla denazificazione, per rendersi conto di quanto il maestro stesso fosse stato contagiato dal virus di Hitler!

    Grande dilemma giudicarlo. Ahinoi, la natura umana è tale che perfino un prete pedofilo potrebbe diventare un grande papa…

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  2. daland, è l’illusione di molti artisti che pensano di poter rimanere attivi all’interno di un regime totalitario e non si rendono conto che facendo così diventano uno strumento più o meno consapevole e di fatto funzionali al sistema…
    Come dici tu, non si può stare, io credo, a così stretto contatto con questo tipo di potere senza esserne in qualche misura contaminati.

    Piccolo aneddoto personale: il mio primo contatto, da bambina, con le sinfonie di Beethoven fu proprio con gli LP di Furtwangler… e di Karajan, e per quanto riguarda Wagner, il mio primissimo approccio fu con le Ouvertures delle sue opere dirette da Toscanini nei vecchi e mitici LP con la custodia nera in cui campeggiava la bella testa canuta di Toscanini…
    Pensa tu!

    Ciao e grazie 🙂

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  3. selva1
    Questo è uno di quei film che all’inizio si prendono un po’ sottogamba, ma che poi ti ritrovi a macinare nel cervello nei giorni che seguono (oddio, non voglio generalizzare. Diciamo che così è capitato a me. Altri se lo sono spolverato di dosso di dosso come niente e magari sbuffando di noia).

    Ci sarebbero tante, tante altre cose da dire (per esempio sugli obiettivi dichiarati e reali di chi, in situazioni del genere, dichiara di “voler fare giustizia”), ma già il post m’è venuto fuori oscenamente lungo, perciò….

    ….Perciò ti ringrazio, Clelia perchè hai avuto la pazienza di leggerlo tutto, ‘sto pippone.

    Ciao e grazie 🙂

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  4. Gino CeruttiGrazie. Ho letto il tuo post.Bella la chiave di lettura  centrata  su "il giusto e il bello".Ovviamente, come nel caso di  Furtwangler e del film, le cose sono  un pochettino più complesse di quanto  tu ed io siamo  riusciti  a rappresentarle.Ma  è  proprio  questa  necessità di una   pluralità   di chiavi di lettura che può far capire  quanto  una tal   opera  possa  risultare    interessante.Grazie.Soprattutto perchè  è  bello  vedere che c'è gente che non si limita  al  "qui ed oggi" di un blog ma che non solo va a rovistare negli archivi, ma  va persino a pescare  post  che s'erano   filati in  pochi  

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