In un’intervista rilasciata il 13 Novembre 1913 a Le Temps in occasione della pubblicazione di Du côté de chez Swann Marcel Proust diceva:
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Come non pensare, leggendo queste parole, a ciò che aveva scritto Dickens a proposito del romanzo a puntate, quando paragonava l’autore ad un tessitore con il suo telaio?
Tutti coloro che hanno letto per intero l’opera di Proust sanno perfettamente che Alla ricerca del tempo perduto è un unicum che inizia con Du côté de chez Swann (La strada di Swann o Dalla parte di Swann, a seconda delle traduzioni) e che termina con Le Temps retrouvé (Il Tempo ritrovato).
A differenza de La Commedia umana di Balzac o del Ciclo dei Rougon Macquart di Zola in cui ciascun romanzo, pur facendo parte di un progetto e di un disegno complessivo può benissimo venir letto singolarmente ed anche non necessariamente in ordine cronologico perchè ogni romanzo ha una sua autonomia narrativa, per l’opera di Proust le cose non stanno così.
In una lettera a Jacques Rivière del 1914 è lo stesso Proust a dirlo chiaramente.
Naturalmente poi ciascuno è liberissimo (ci mancherebbe) di leggere anche soltanto, per esempio, All’ombra delle fanciulle in fiore o La strada di Swann e nient’altro, ma penso sia fondamentale avere almeno la consapevolezza che, qualunque impressione o giudizio sarebbe comunque non solo parziale ma profondamente distorto.
E questo, non certo per “colpa” del lettore, ma per la struttura stessa dell’opera di Proust.
Come ha scritto Deleuze in “Marcel Proust e i segni”, uno dei saggi critici più acuti che io abbia letto sulla RTP, Alla ricerca del tempo perduto è una “ricerca della verità”, il racconto di un apprentissage.
(Nella lettera a Rivère, Proust non aveva forse scritto: “quel che mi prefiggevo era la ricerca della verità, e in che cosa essa consisteva per me” ?)
Alla ricerca del tempo perduto è soprattutto un percorso di conoscenza e dunque, in quanto tale, pieno di incessanti rivelazioni, sorprese, disvelamenti.
Nella RTP nulla è mai come sembra, tutto cambia continuamente ottica e prospettiva in modo tale da costringere noi lettori a modificare e spesso addirittura a ribaltare l’idea che di una situazione o di questo o quel personaggio pensavamo esserci fatti. A volte il ribaltamento avviene nel giro di poche decine di pagine, a volte a distanza anche di due o tre volumi.
“L’arazzo” di Proust è un’unità inscindibile, non prevede conclusioni provvisorie, non è, ripeto, un ciclo di romanzi. Solo l’epilogo, lo svelamento, le “s-coperte” (il togliere cioè le coperte, le coperture) contenute nell’ultimo volume, Il tempo ritrovato, danno senso a tutti quelli che lo hanno preceduto.
Lo stesso Proust ha anche dichiarato di aver scritto subito, insieme, le pagine iniziali di Swann e le ultime de Le Temps retrouvé, e che tutto il resto è stato scritto in seguito.
Proust ci aveva avvertiti. Aveva detto infatti, sempre in quell’intervista del 1913:
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Un altro dei (tanti) motivi per cui almeno la prima volta la RTP va letta dall’inizio del primo volume alla fine dell’ultimo (In seguito si potrà tranquillamente saltellare, andare avanti e indietro a piacimento, cosa che — per esempio — io faccio da parecchi decenni) è che la Ricerca è un’opera assolutamente circolare.
Quando infatti, dopo migliaia di pagine arriviamo all’ultima parola de Il Tempo ritrovato, e cioè alla parola “Tempo” ci rendiamo conto che tutto quello che abbiamo letto prima nelle migliaia di pagine precedenti viene da noi riconsiderato in modo completamente diverso e qualcosa ci spinge (i proustiani conoscono benissimo questo fenomeno, questo impulso irresistibile) a tornare a rilegger tutto dall’inzio e, ripartendo da quel celeberrimo incipit in cui, guarda caso, la prima parola fa riferimento al “Tempo” (“Longtemps, je me suis couché de bonne heure ….“, “Per molto tempo mi sono coricato presto la sera”), rifare il lungo, magnifico cammino che ci riporterà — questa volta con occhi completamente diversi — nuovamente, dopo migliaia di pagine, alla parola “Temps”.
Ha scritto Julia Kristeva nel suo Le temps sensible. Proust et l’expérience litteraire
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Ma — e qui mi collego alla citazione di Dickens —- se già un lettore di oggi, che ha a disposizione tutti i volumi della Ricerca può aver molte difficoltà (per la lunghezza dell’opera, per lo stile di scrittura di Proust che richiede, almeno all’inizio, pazienza, allenamento e tempi di lettura molto particolari) a seguire le mille trame, sottotrame, rinvii, sottotesti (La Ricerca è, per molti versi, un vero e proprio colossale esempio di ipertesto cartaceo) pensiamo a come devono essersi trovati quei lettori che, contemporanei di Proust, hanno potuto leggere i volumi della sua opera a distanza non di settimane, non di mesi, ma addirittura di anni (e che anni! Anche una guerra mondiale, di mezzo!)…
Insomma, altro che i “diciannove lunghi mesi” di cui parla Dickens…
L’edizione originale pubblicata a partire dal 1913 contava 7 volumi, a loro volta suddivisi in 15 tomi, ognuno dei volumi ha un proprio titolo e una propria storia filologica ed editoriale.
Dalla parte di Swann o La strada di Swann (Du côté de chez Swann, 1913)
All’ombra delle fanciulle in fiore (À l’ombre des jeunes filles en fleurs, 1919, premio Goncourt)
I Guermantes (Le côté de Guermantes, 1920)
Sodoma e Gomorra (Sodome et Gomorrhe, 1921-1922)
La prigioniera (La prisonnière, 1923)
La fuggitiva o anche Albertine scomparsa (La fugitive ossia Albertine disparue, 1927)
Il tempo ritrovato (Le temps retrouvé, 1927)
Sulla scia della splendida ed intensissima esperienza di Austerlitz, ho naturalmente pensato ad una rilettura della Récherche. Nonostante siano passati quindici anni (?!?!?!?!), ne conservo un ricordo molto vivido:certo, molti particolari sfuggono ma l'"impressione" rimane intatta ( e sono stata felice di leggere che l'accostamento tra Proust e Monet non fosse solo una mia personale associazione…). Per me, comunque: Proust resta il meno antologizzabile degli autori: pretendere di farsi un'idea della Récherche leggendo unicamente Un amore di Swann- l'episodio più gettonato quanto ad estrapolazioni- è come voler comprendere i Promessi Sposi a partire solo dal singolo episodio di Gertrude (come peraltro è prassi). Lo stesso dicasi, naturalmente, per Guerra e pace, per Don Chisciotte o per la stessa Commedia di Dante. . Per queste opere il tutto non è assolutamente riducibile alla parte. E perché dovrebbe? Come per tutti gli altri libri, se il lettore è in sintonia con il mondo di queste opere (che apputno sono opere-mondo) sarà ben felice di esplorarlo. Altrimenti, chiuderà il libro dopo molte o poche pagine e buonanotte. E chi s'è visto s'è visto, con buona pace di molte insane scelte editoriali.
Dragoval
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