LA VITA OGGI – ANTHONY TROLLOPE

Davis Suchet Augustus Melmotte
Augustus Melmotte interpretato da David Suchet
nella miniserie TV del 2001 della BBC

La vita oggi, scritto nel 1875 è, dalla critica, considerato il capolavoro di Anthony Trollope.

In questo sterminato romanzo vittoriano (più di mille pagine, ma di scorrevolissima e molto piacevole lettura) dalle multiple ramificazioni il centro è occupato da Augustus Melmotte, un finanziere senza scrupoli che lancia una vasta operazione speculativa in Inghilterra e in America per prendere in trappola investitori ingenui e sprovveduti.

Augustus Melmotte è descritto da Trollope come un uomo “di fisico piuttosto robusto, con folti favoriti, capelli fitti e disordinati, e sopracciglia marcate, […] la bocca e il mento che lasciavano trasparire un desiderio di potere così evidente da riscattare il volto da ogni volgarità; ma i lineamenti e l’aspetto erano, nell’insieme, sgradevoli e, potremmo dire, falsi. Dava a tutti l’impressione di essere prepotentemente orgoglioso del suo denaro”

Andato via da Parigi e da Vienna dove si dice abbia compiuto imprese grandiose ma molto poco chiare («si dava per certo che avesse costruito una ferrovia attraverso la Russia, rifornito l’esercito del Sud nella guerra civile americana, venduto armi all’Austria e che avesse, in un sol colpo, comperato tutto il ferro esistente in Inghilterra») ha trovato rifugio a Londra in cui sfrutta la confusione di idee di un’opinione pubblica che non sempre riesce ad individuare confini e differenze tra rischi del commercio e truffa pianificata.

Delle acrobazie speculative di Melmotte noi assistiamo all’ultima, quella della South Central Pacific and Mexican Railway, e cioè la costruzione di una ferrovia che deve partire da Salt Lake City e, diramandosi sulla linea San Francisco-Chicago, attraversare le terre del New Mexico e dell’Arizona ed infine sbucare nel Golfo al porto di Vera Cruz.

Il grandioso progetto non è altro, in realtà, che una vera macchina allestita per attirare e truffare piccoli azionisti, una colossale truffa che attira e travolge capitali, talenti, fortune ed entusiasmi provenienti da ogni parte dell’aristocrazia.

Davis Suchet Augustus Melmotte

Melmotte — violento, laido, volgare — è al suo secondo matrimonio, ma quel che sappiamo della attuale moglie è solo che si tratta di un’ebrea che viene dalla Boemia. Melmotte è anche padre di Marie, nata dal primo matrimonio.

Attorno gravita tutta una serie di personaggi dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, la maggior parte dei quali privi di denaro e che, complessivamente, non sono — eticamente parlando — molto meglio di Melmotte. La loro unica superiorità deriva dal fatto che sono nobili ed inglesi. Benchè Melmotte presti loro del denaro (non perdendo mai di vista, ben inteso, il proprio tornaconto), lo guardano dall’alto in basso, lo tollerano con difficoltà e lo disprezzano.

Di questi personaggi — ciascuno dei quali protagonista a sua volta di sotto-trame che si intrecciano tra loro—, Trollope ci fornisce ritratti al vetriolo.

Tra i giovani Lord e Baronetti nullafacenti che ammazzano la noia con le carte e l’alcool in un club chiamato Beargarden, il più detestabile fra loro è senza dubbio Felix Carbury. Trollope non gli risparmia nulla. Felix ha tutti i difetti: senza un quattrino gioca d’azzardo, si ubriaca, mente, è carico di debiti che non può pagare, è pigro e, soprattutto, è adorato e letteralmente covato in modo insensato dalla madre, Lady Mathilde Carbury, che ne tollera tutti i vizi.

Lady Carbury è una vedova che si è messa in testa di fare la scrittrice per fini — come si suol dire — “alimentari”, e cioè per procurarsi i soldi per arrivare alla fine del mese e soprattutto per potere assecondare il figlio, al quale dedica tutte le sue attenzioni e tutto il suo amore a scapito di Hetta (Henrietta), la figlia femmina, che vorrebbe a tutti i costi far sposare con il cugino Roger Carbury, uomo agiato, intelligente ed onestissimo, che ama sinceramente Hetta la quale però, pur stimandolo molto, è innamorata di Paul Montague, il migliore amico di Carbury.

Facciamo anche la conoscenza della famiglia Longestaffe, il cui figlio Dolly (anche lui uno sfaccendato senza un quattrino) finirà comunque per avere un ruolo nella caduta di Melmotte e di suo padre Lord Alfred, completamente rovinato e debitore di Melmotte.

David Suchet as Melmotte

Melmotte, nel romanzo, non è certo l’unico, ad imbrogliare.

Giovanotti di ottima famiglia ma privi di denaro non esitano a pagare i loro debiti di gioco con “pagherò” di carta ed a fare la corte a ricche ereditiere con il solo scopo di accaparrarsene la dote

Nel mondo letterario, Lady Carbury, romanziera priva di talento fa di tutto per assicurarsi critiche favorevoli per far vendere i propri libri. Nel mondo del giornalismo non si intriga e si imbroglia di meno.

La frase magica, la frase assolutoria che nel corso di tutto il romanzo viene ripetuta di volta in volta più o meno da tutti i personaggi è: “La vita, oggi, è cambiata!”

Trollope colloca il suo romanzo (scritto nel 1875) a Londra, più o meno nel 1873 ispirandosi, per la trama, a una serie di scandali finanziari avvenuti negli anni Settanta.

La vita oggi è un grande romanzo-affresco che non solo non risparmia alcun settore della società, ma che si rivela di una modernità assolutamente sconcertante perchè prefigura curiosamente, certe speculazioni del ventunesimo secolo (e non solo).

Un aspetto del romanzo mi ha particolarmente colpita, e vorrei sottolinearlo.

In questa Inghilterra vittoriana descritta da Trollope, infarcita di rigidi principi e di rigidissime norme sociali, in cui tutti imbrogliano e sono a loro volta in qualche modo imbrogliati, le figure femminili del romanzo, Lady Mathilda Carbury, sua figlia Hetta, Marie Melmotte, Georgiana Longestaffe, Mrs. Winifred Hurtle (un’americana innamorata di Paul Montague la quale, per certi aspetti, ritroveremo in alcune celebri eroine di Henry James) e la giovane popolana Ruby Ruggles cercano di gestire la propria vita sentimentale in modo indipendente e secondo le proprie inclinazioni.

Cosa certo non facile, in una società in cui le donne hanno ben pochi diritti e sono troppo spesso costrette a matrimoni di convenienza.

Con le loro differenze, i loro pregi e i loro difetti, sono le donne, i personaggi più positivi del libro.

Questa particolare attenzione e sensibilità dimostrata da Trollope nei confronti del difficile ruolo della donna nella società vittoriana mi aveva già colpita in tutti i romanzi che fin qui ho letto: da L’Amministratore a Le torri di Barchester, da Il cugino Henry a Orley Farm a Lady Anna… A questo punto del mio “percorso trollopiano”, mi sento proprio di dire che questa è una delle caratteristiche della sua intera opera, e personalmente ne sono molto lieta.

La cifra stilistica di Trollope è lo sguardo cinico e distaccato con cui si volge ai fatti della vita ed a chi la popola, ma Trollope, oltre a divertire ed a far sorridere con la sua sempre presente eccezionale ironia riesce, nel mettere in scena la disonestà del suo tempo ad essere attuale in modo a volte addirittura inquietante.

La vera protagonista che il vittoriano Trollope mette in scena nel suo fluviale romanzo è infatti la disonestà politica, morale, intellettuale, perfino giornalistica, oltre che economica. Un quadro desolante di generale corruzione di un ieri che appare di sorprendente attualità alla luce dei fatti e delle caratteristiche della società civile e politica dei nostri anni

see Difficile, a me sembra, che il personaggio di Melmotte — il quale, grazie ai suoi maneggi ed alle sue speculazioni finanziarie e nonostante non possegga reti televisive e non disponga a suo piacimento di catene di giornali riesce persino a farsi eleggere alla Camera dei Comuni — non faccia venire in mente a qualsiasi italiano di oggi che non viva all’interno di una bolla un ben noto tycoon nostrano…

Ma per rimanere in ambito letterario: quante straordinarie coincidenze/congruenze ci sono tra l’Augustus Melmotte di La vita oggi (1875) di Trollope e l’Aristide Saccard di   La curée  (1872) e soprattutto de  L’argent  (1875) di Emile Zola!  Quante analogie con un certo mondo parigino descritto da Balzac!

Trollope è un ottocentesco signore vittoriano, ma per me costituisce ormai un classico perchè ciascuno dei suoi libri mi risultano essere — per citare il Calvino de “Perchè leggere i classici”“libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, indediti”

Trollope La vita oggi

Anthony TROLLOPE, La vita oggi (tit. orig. The way we live now)
traduz. Romano Carlo Cerrone, Piero Pignata, Nota Piero Pignata
due voll., 604, 604 pagine, Sellerio editore, Collana La Memoria
EAN 9788838925139

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Un episodio della miniserie TV della BBC. Su YouTube la si trova tutta per intero (almeno, sino ad oggi…)

I NOSTRI PIU’ CARI AMICI

Gustave Caillebotte, Donna alla finestra, 1875

E’ singolare quanto poco siamo inclini a pensare che gli altri possano parlare acidamente di noi e come ci arrabbiamo e ci sentiamo feriti quando ci giunge prova che essi l’abbiano fatto. Non è forse troppo affermare che tutti noi di tanto in tanto parliamo dei nostri più cari amici in un modo in cui ai nostri cari amici piacerebbe ben poco sentirsi menzionare, e tuttavia ci aspettiamo che i nostri più cari amici invariabilmente parlino di noi come se fossero ciechi davanti ai nostri difetti, ma intensamente consapevoli di ogni sfumatura delle nostre virtù

 

SULL’ARTE DI NARRAR STORIE

George Stubbs
George Stubbs
Lady Reading in a Wooded Park
1768-1770. Olio su tela. Collezione privata.

Anthony Trollope aveva idee molto precise, riguardo al modo di raccontar storie ed in particolare a proposito di quel che oggi con l’orrenda terminologia da cui è molto difficile rimanere immuni definiremmo “tormentone” o “spoileraggio” e cioè:

“Mi dici? Ma quanto mi dici? Mi racconti? Ma quanto mi racconti?!?!”

Che poi sarebbe quella vecchia storia dell’accorata — e legittima, per carità — preghiera che chi ha intenzione di leggere un certo libro rivolge all’amico (o all’amica) che quel libro ha invece già letto, preghiera che in genere così di seguito risuona:

“Però, per carità, non mi dire come va a finire!”

Purtroppo,  spesso questa preghiera viene espressa anche quando si tratta di grandi classici (in quel caso si trattava di Guerra e Pace).

Fin qui però il tema del “quanto dire, quanto anticipare circa la trama di un romanzo” l’ho considerato dal punto di vista di chi di quel romanzo si trova a scrivere e/o a parlare.

Ma trovo interessante anche guardare la cosa dal punto di vista dell’autore del romanzo, ed a questo proposito ecco, ad esempio, quel che dice Trollope riguardo la propria strategia di scrittura (i grassetti sono miei)

E qui forse si può permettere al romanziere di spiegare le sue idee su un punto molto importante dell’arte di narrar storie. Egli si arrischia a disapprovare il sistema che spinge fino a violare tutta l’opportuna confidenza tra l’autore e i suoi lettori, mantenendo quasi fino alla fine […] il mistero sul destino del loro personaggio preferito.

[…]

Non ci saranno segreti che possa rivelarvi. Anzi, prendete l’ultimo capitolo — scoprite dalle sue pagine tutti gli esiti della nostra travagliata storia, e la storia non avrà perso nulla del suo interesse, se davvero c’è dell’interesse da perdere.

La nostra dottrina è che l’autore e il lettore debbano procedere insieme con totale confidenza reciproca. Che i personaggi del dramma affrontino tra loro una perfetta commedia degli errori, ma che lo spettatore non scambi mai il siracusano per l’efesino, altrimenti diventa uno dei creduloni e la parte del credulone non è mai dignitosa.

Nel triangolo costituito da Autore — Testo — Lettore, Trollope chiama dunque  accanto a sè il Lettore e, mettendolo già dall’inizio a conoscenza dei nodi cruciali che la trama svilupperà, lo invita a guardare insieme a lui — come  fossero entrambi seduti accanto nel palco di un teatro —   i personaggi i quali — loro si, ignari del destino individuale che l’Autore ha loro apparecchiato —  si muovono e si dibattono in una vera e propria “commedia degli errori”.

Da questo deriva anche, secondo me, un aspetto che detto molto terra-terra io sintetizzerei così: se un libro è davvero interessante, se è veramente un buon libro, se è scritto bene, non ci può essere — eccezion fatta per i romanzi rigorosamente polizieschi in cui tutto è basato sulla ricerca e l’individuazione dell’assassino — riassunto e anticipazione fatta da altri che possano scalfire il piacere di chi quel testo leggerà.

IL MIO PRIMO TROLLOPE

Heywod Hardy
Heywod Hardy (1843 – 1933)
The Start of The Hunt

Finito ieri di leggere il mio primo romanzo di Anthony Trollope.

Per avvicinarmi a questo baffutissimo e barbutissimo signore vittoriano mi sono mossa con molta cautela e sono stata bene attenta a non scegliere un romanzo che facesse parte di un ciclo.

Anthony TrollopeNon volevo esser costretta — qualora il signore in questione mi avesse annoiata o delusa — a proseguire arrancando tomi dopo tomi o a mollarlo di punto in bianco.

Questa è, infatti, cosa che destesto fare: mi arrendo solo in casi davvero estremi e disperati…

Ma Orley Farm (è questo il romanzo che ho scelto) mi ha conquistata, trovo che qui in Italia Trollope sia sino ad oggi ingiustamente rimasto nell’ombra, e trovo che sbagliassero di grosso Henry James e Virginia Woolf ad arricciare il naso, quando parlavano o scrivevano dei suoi libri, anche se capisco perfettamente — conoscendo abbastanza bene l’idea di letteratura che avevano sia l’uno che l’altra — il perchè del loro molto tiepido apprezzamento.

Henry James e Virginia Woolf erano grandissimi scrittori con una precisa personalità e convinzioni estetiche e letterarie.

Io invece, che sono soltanto una “common reader” (per dirla con Virginia) posso permettermi il lusso di essere meno fedele e meno ancorata a precisi canoni letterari e quindi ho già arruolato Trollope tra i miei autori preferiti.

Nel mio scaffale mentale l’ho collocato accanto al tedesco Theodor Fontane.

So che può sembrar strano, ma a me sembra che l’inglese e il tedesco abbiano molte caratteristiche in comune: la pacatezza, il ritmo, l’ironia, la capacità di approfondimento psicologico dei personaggi, l’attenzione nei confronti delle figure femminili (bellissimo e complesso, in Orley Farm, il personaggio della protagonista Lady Mason), la sensibilità nei confronti della vita della campagna e della provincia (l’immaginario Barsetshire nel caso dell’inglese Trollope, la realissima Marca del Brandeburgo nel caso del prussiano Fontane)…

Insomma, e per non farla tanto lunga: mi sono messa immediatamente a caccia di tutti i romanzi di Trollope pubblicati in italiano ed in particolare di quelli che costituiscono il “ciclo del Barset”.

Di questo ciclo sono riuscita sino adesso a trovare quattro volumi su sei, e per cominciare a leggere aspetto di averli tutti.

Non ho fretta, non intendo fare una full immersion. Ho capito che Trollope è ormai un amico sul quale posso contare e mi fa piacere sapere di avere a disposizione tanta roba sua, ancora da leggere.

Così come sono contenta di avere ancora qualche Dickens, Marai, Magda Szabò, Zola, Balzac e un’altra decina di autori che sonnecchiano placidi nella mia libreria ed ai quali so di poter ricorrere nei momenti di vacche magre…

Trollope è stato recentemente pubblicato da Sellerio, ma molti volumi (come Lady Anna, ad esempio) risultano già esauriti ed introvabili anche presso la libreria Sellerio che c’è qui a Palermo, a Mondello, dove ieri ho fatto razzia di tutto quello che ancora era disponibile.

Autobiografia compresa.